08 Feb Lo scacco dello specchio
Lo scacco dello specchio Luigi Burzotta
Dobbiamo a Pier Luigi Pirandello, alla sua generosità, alla sua sensibilità per i valori della cultura, alla sua attenzione gelosa, la cura disinteressata per il patrimonio artistico del padre Fausto, che oggi ci troviamo nella dimora che fu lo studio del pittore, dove l’artista continuò, schivo e solitario, la sua incessante ricerca, fino alla fine, incurante dei rapporti mondani.
Questo crea un poco d’imbarazzo a chi come me si accinge a dire qualcosa sulla sua pittura. Premetto, prima di pronunciare una sola parola, che per una prospettiva storica e artistica sul pittore Fausto Pirandello, bisogna partire dai saggi basilari di Claudia Gian Ferrari e Maurizio Fagiolo dell’Arco.
Claudia Gian Ferrari definisce la pittura di Fausto “una lettura della realtà nelle sue espressioni più veritiere e drammatiche”. Io mi fermo sull’aggettivo, veritiere, perché, dal mio punto di vista psicanalitico, mette in rapporto l’espressione artistica con la Verità, quella che, se nel soggetto parla da sola, nel pittore lo fa nei modi dell’espressione pittorica. Anche qui la Verità, quando parla, non può che “usare il paradosso e l’assurdo”.
Ancora Claudia Gian Ferrari ci dice che il nudo femminile è costruito con “forti scorci prospettici che creano tensioni lineari all’interno della tela”, tensioni che esprimono angoscia.
Jacques Lacan insegna che l’angoscia segnala l’imminenza dell’oggetto. Preciso subito che l’oggetto della psicanalisi è quanto di più enigmatico e sfuggente si possa pensare, benché i suoi rappresentanti siano alla portata di ognuno: il seno in prima fila e qui, nella pittura di Fausto, in tutta evidenza nella sua corposa carnalità. Il seno tuttavia non è che un rappresentante di ciò che il vivente perde per il fatto di doversi riprodurre per le vie del sesso.
Il seno dunque, con gli altri oggetti, cui Lacan aggiunge lo sguardo e la voce, sono i rappresentanti di una mancanza: qualcosa perduto da sempre, perché nessuno mai ha tenuto l’immortalità.
Certo alcuni qui fanno un poco di fatica a enumerare lo sguardo e la voce tra gli oggetti, domani dirò come il pittore deve cedere lo sguardo per entrare nel dipinto come soggetto, costruendo la prospettiva.
Nel dipinto Interno di mattina, 1934, se il seno è subito in evidenza, si può ritrovare la voce, lo strumento in cui si manifesta il desiderio dell’Altro, rappresentata dalla figura fluttuante di un busto di donna con uno spartito: è l’istanza simbolica che non smette di cantarcela. Nel viso incorniciato si può riconoscere lo sguardo, da Lacan chiamato anche finestra, perché costituito, come vedremo domani, dalla semplice apertura degli occhi.
Fausto Pirandello Interno di mattina 1934
Insieme con questo, Donne con salamandra, 1928-30 e La scala, 1934, sono dipinti che presentano la stessa “sottile arcana inquietudine” che deriva loro da ciò che io chiamo: lo scacco dello specchio. Questi dipinti denunciano, nella loro frammentazione, una turbativa nella funzione speculare. Si tratta di quella funzione che, secondo Jacques Lacan, nella fase da lui designata dello specchio, realizza in modo anticipato, nel bambino ancora infans, una padronanza, che la maturazione dell’organismo realizzerà in modo compiuto solo più tardi.
All’epoca, che precede la maturazione del nevrasse, il bambino avrebbe del proprio corpo una percezione frammentaria, a pezzetti: tanti frammenti in libertà quante sono le sensazioni avvertite nel caos disordinato dei suoi bisogni.
Scorgendo, improvvisamente, davanti allo specchio, la sua immagine, questa eserciterebbe su lui una funzione ortopedica unificante, che il bambino saluta con una manifestazione di giubilo e ne cerca immediatamente la ratificazione nello sguardo e nella parola di chi lo sostiene in quel momento.
La funzione speculare si completa così con la ratificazione simbolica di un Altro, un Ideale, un braccio cui il soggetto resta appeso, anche quando da ragazzo si metterà a contare i suoi passi, incuranti dell’andatura dell’Altro, perché rapito da una caparbia idea d’indipendenza, tutto inteso, con gli occhi serrati, a un suo disegno interiore (Fausto Pirandello, Piccole impertinenze, Sellerio, pp. 14-15).
A quel braccio egli resterà appeso anche nella sua condotta di protesta, che potrà in seguito apparire come un rigetto dell’assenso simbolico ma non lo è per niente, tranne che ad avere degli effetti di turbativa sulla funzione speculare e una conseguente difficoltà a coglier nell’altro un’immagine unitaria di se stesso.
La pulsione scopica viene allora in soccorso del pittore con la costruzione della prospettiva che allora resta l’unica chance per porsi nel dipinto come soggetto. A proposito di Fausto Pirandello, Maurizio Fagiolo dell’Arco parla di una “prospettiva accelerata”.
Vedremo domani come nelle “stanze inquiete” di Modica la prospettiva ricrea un equilibrio classico.