Kant, Sade e il Decalogo – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 24 Febbraio 2017

Kant, Sade e il Decalogo – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 24 Febbraio 2017

24 Febbraio 2017

 

Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan

 

Kant, Sade e il Decalogo

 

L. Burzotta

 

Lacan inizia questa lezione rivolto come al solito a un uditorio misto, composto prevalentemente da psicanalisti di formazione lacaniana, giovani e meno giovani, psicanalisti di una certa età e comunque esperti, ma anche di intellettuali e curiosi di varia formazione e livello, con questo incipit: “facciamo entrare il povero di spirito, facciamolo sedere in prima fila e domandiamogli che cosa ha voluto dire Lacan. Il povero di spirito si alza va alla lavagna e spiega”, io mi sono subito identificato al povero di spirito che si alza, va alla lavagna e cerca di spiegare che cosa vuol dire Lacan.

Ho insistito molto nel corso dei nostri precedenti incontri sul termine Vorstellungs-Repräsentanz, il rappresentante della rappresentazione e cioè uno di quei significanti che, a livello inconscio, orbitano attorno a qualche cosa che abbiamo definito das Ding.

Lacan utilizza molto questo termine Vorstellungs-Repräsentanz, dove Vorstellung è la rappresentazione, Repräsentanz è il rappresentante e cioè un segno che rappresenta una rappresentazione, ricordando anche che a questa “rappresentazione”, presa da sola, “Freud attribuisce il carattere di corpo vuoto, di spettro, di pallido incubo della relazione con il mondo, di godimento estenuato”, perché ha bisogno di essere rappresentata da un tratto, da un rappresentante.

Nell’inconscio funzionano già, sembra che orbitino dunque da sole queste rappresentazioni, finché non trovano il modo di strutturarsi facendo coalescenza con dei tratti significanti in modo da creare delle unità composte.

Sono dunque le Vorstellungs-Repräsentanzen gli elementi che vanno a strutturare un certo apparato, Real-ich, mettendosi a orbitare attorno a qualche cosa, che paradossalmente sta dentro e fuori questo dominio e che tuttavia si guardano bene dal raggiungere pur essendo, das Ding, l’origine, il principio e la ragione di questo loro movimento orbitale.

La difficoltà topologica è evidente: come è possibile che questi rappresentanti della rappresentazione orbitino attorno a qualcosa che si troverebbe al centro, se questo centro è esterno, in quanto das Ding è ciò che originariamente è stato estromesso?

La difficoltà topologica sta nel concepire qualcosa che è dentro di me e al tempo stesso è fuori di me, un interno escluso per il quale Lacan si è inventata una parola composta di due termini, intérieur / extérieur, Extime.

La Cosa è Extime, è così prossima a me che non mi rendo contro di questa prossimità: è il primo esterno perché ostile, ma resta un interno escluso che diventa subito un centro di attrazione. La difficoltà topologia di questo campo centrale abitato da questo das Ding, l’oggetto perduto da sempre, sta nel presentarsi come un posto vuoto.

Vi richiamo un altro tipo di figurazione che io ho fatto l’anno scorso quando ci siamo occupati del Seminario XI del 1964 e che qui, mentre stiamo esaminando il Seminario sull’Etica (1959/1960), potrebbe tornare molto utile, perché nel 1964 Lacan, riprendendo il concetto di Pulsione, tornerà a parlare della realtà psichica designandola ancora una volta con il Real-ich di Freud, che ci descrive come una specie di rete, fatta di percorsi connessi tra loro in una continua comunicazione.

Poco fa la Dottoressa Vennemann parlava di Bannen che sarebbero Vie, riferite a questa struttura topologica che nell’insieme Lacan ci descrive, nel Seminario XI, come una specie di calotta fatta di innervazioni dove appunto si creano delle connessioni tra i nervi che passano all’interno di questo apparato mediante anastomosi, e una volta create queste vie facilitate, si stabilisce una preferenza e una coazione a ripetere questi percorsi facilitati, per mantenere un certo limite all’investimento psichico e raggiungere l’omeostasi, un equilibrio narcisistico.

Effettivamente quattro anni prima del Seminario XI, egli già aveva parlato di questo apparato in un modo simile qui nell’Etica, il Seminario di cui ci stiamo occupando, dove è descritto a più riprese tutto questo orbitare di rappresentanti della rappresentazione attorno a das Ding, tenendolo alla giusta distanza, mantenimento che garantisce all’Io l’omeostasi.

Abbiamo quindi lo stesso sistema omeostatico regolato dalle leggi del principio di piacere nel Seminario sull’Etica, in un certo modo ripreso da parte di Lacan nel Seminario XI, quattro anni dopo.

Questo sistema omeostatico viene dunque descritto per la prima volta qui nel seminario sull’Etica, con queste Vorstellungs-Repräsentanzen che orbitano attorno a un bene ambito, al cui orizzonte si profila un campo escluso, il primo estraneo, nocivo, che pertanto questo sistema tenta di tenere alla giusta distanza, perché il principio di piacere non può forzare certi limiti.

È molto interessante il discorso che fa Lacan su questo bene, di cui comincia a parlare partendo dalla Critica della ragion pura-pratica di Emmanuel Kant, raccogliendo subito da quest’opera un termine che si chiama Wohl che significa benessere.

Wohl non è das Ding, ma è ciò che das Ding assicura se lo manteniamo a distanza, con quell’orbitare incessante, regolato dalle leggi del principio di piacere, di rappresentanti della rappresentazione: la garanzia di questo benessere dipende da tale equilibrio.

Abbiamo parlato di Vorstellungs-Repräsentanzen cioè di significanti che orbitano regolati dalle leggi del principio di piacere per mantenere la giusta distanza da das Ding, ma, di fatto, chi detta legge, per permettere a questo sistema omeostatico la sopravvivenza, è proprio das Ding.

La legge che detta questo das Ding è una legge dura in quanto pur garantendo una certa sicurezza al sistema omeostatico è una legge insopportabile, è una legge arbitraria, sicché questo oggetto das Ding si rivela come oggetto cattivo.

Non è soltanto una legge dalla quale mi lascio guidare perché mi dà benessere, è una legge arbitraria e io mi trovo in difficoltà per cui questi segni che orbitano e mi assicurano il Wohl, allo stesso tempo sono spesso deludenti, non hanno un riscontro vero. La vita psichica di ognuno di noi è sempre un’esperienza disagevole, e allora il soggetto rispetto a questo fa dei sintomi, per difendersi.

Vediamo allora il primo sintomo di difesa che ci descrive Lacan, si tratta del sintomo isterico di quella ragazzina, di cui abbiamo parlato, legato a due episodi della sua vita fondati su una prima menzogna, così è il sintomo che è menzognero, quando lei dice che non può entrare in un certo negozio perché deridono il suo abbigliamento, a quest’epoca lei ha 12 anni.

C’è un episodio sottostante di quando lei ha 8 anni, in cui c’è una specie di barbone che le ha infilato la mano sotto la veste e, non si sa come, l’ha pizzicata.

Quando lei ha avuto difficoltà ad entrare nella bottega perché pensava che i commessi la stessero deridendo per il modo in cui era vestita, in realtà tra questi ce ne era uno che le piaceva e dal quale si sentiva attratta e allora in qualche modo c’è una coalescenza dei due ricordi dove il primo dà una spiegazione erotica all’altro.

Nel  primo quando il vecchietto l’ha pizzicata sotto il vestito, la significazione erotica  è rifiutata, nel secondo invece è riconosciuta a condizione che l’erotismo che c’era nel primo venga spiegato dall’attrazione che lei prova per uno degli uomini della bottega. Questo è ciò che ci racconta Freud, che qui parla di un Protonpseudos che viene in qualche modo illuminato dal ricordo successivo. Si tratta dunque di una menzogna dell’inconscio, che tuttavia mente per suggerire qualcosa di vero a modo suo.

A questo punto della sua lezione Lacan suggerisce che l’esperienza dell’inconscio nell’impostazione di questi due ricordi ci costringe ad aggiungere qualcosa alla interrogazione etica che alla sua epoca aveva conosciuto il suo punto d’arrivo con Emmanuel Kant.

Se è vero che Kant costituisce il punto d’arrivo dell’etica, soltanto con Freud questo apice viene forzato, perché introduce la menzogna dell’inconscio e cioè l’inconscio che si esprime attraverso la menzogna. Introdotto Kant, Lacan riparte non più dal principio di piacere, ma dal principio di realtà.

La realtà è qualche cosa che per l’uomo si presenta come strutturata, vi anticipo che la realtà di cui sta parlando Lacan è il reale, perché ci dice a proposito di questa realtà che è ciò che torna sempre allo stesso posto: bellissima definizione, però bisogna iniziare a capire di cosa sta parlando Lacan.

Dal canto mio non posso non citare Leopardi con “Il canto notturno di un pastore errante dell’Asia”, per evocare il pastore che se ne stava tranquillo a osservare il cielo stellato e poteva misurare l’arrivo delle stagioni guardando gli astri, ecco spiegato ciò che ritorna sempre allo stesso posto. Oppure il navigante che guarda la costellazione delle Pleiadi che sono il riferimento sicuro per la sua navigazione.

Fino a Kant ciò che ritorna sempre allo stesso posto è stato il principio regolatore dell’etica, con Kant cambia tutto perché egli scrive la sua opera quando già c’è Newton con le sue formule, come la seguente sulla gravitazione universale, F = G m1m2 r2, secondo la quale due corpi dotati di massa si attraggono con una forza che è direttamente proporzionale al prodotto delle masse e inversamente proporzionale al quadrato della distanza che li separa formula che già ci dice che non è vero che il reale ritorna sempre allo stesso posto, che c’è qualche cosa che muta e può non essere più allo stesso posto, perché nell’Universo “qualcosa cade”.

Allora bisogna sconvolgere anche l’etica, e trovare un principio etico che faccia a meno di ciò che effettivamente ritornava allo stesso posto per quanto concerne il sistema omeostatico.

Il sistema omeostatico si basa sul riferimento a una realtà dove tutto ritorna sempre al suo posto, mantenendo alla dovuta distanza questa Cosa che lo disturberebbe, allora Kant vuole fondare un’etica che faccia a meno di tutto il patologico che scaturisce dal riferimento al das Ding. Egli afferma che se noi vogliamo fondare un’etica che funzioni in un modo assoluto, dobbiamo eliminare tutto il patologico, tutto il sentimentale dell’uomo che mantiene al suo orizzonte la Cosa.

Il principio assoluto libero da ogni riferimento per Kant è: Agisci in modo che la tua condotta possa valere come legge universale. Escludendo tutto ciò che riguarda il sentimento dell’uomo, la mia condotta segue una regola che può valere per tutti, ed elimina anche dall’orizzonte il riferimento a qualcosa che garantisce ogni bene particolare che mi possa ingannare.

Ma è proprio questa esclusione dei sentimenti dall’etica, Lacan ci ricorda, che sette anni dopo la pubblicazione della Critica della ragion pura-pratica viene adottata, non si sa se volutamente o così per caso, da un’altra  opera cruciale, che è quella del Marchese De Sade ed è La filosofia nel boudoir , dove Sade dice “Francesi ancora uno sforzo per compiere la vera rivoluzione”.

Nell’opera di De Sade, Juliette, c’è un passo denominato “Il sistema di Pio VI” che è fatto per seguire pedissequamente ma alla rovescia l’etica kantiana e che prescrive per esempio: “io devo poter godere di chiunque ho voglia, indipendentemente dal fatto che la persona possa patire o non essere consenziente…”, tutti i comandamenti, sono così formulati alla rovescia da Sade.

Questa ipotesi è costruita in un modo apparentemente contraddittorio ma ha una sua logica interna per costruire un’etica sulla falsariga dei Dieci comandamenti che viene messa in atto e rivendicata dallo stesso Sade. Vediamo allora che questo tipo di etica, fondata sul principio della regola che vale per tutti, trova il suo scacco, perché se è applicabile l’etica alla maniera kantiana, allora dobbiamo accettare quella di Sade che applica gli stessi principi, cioè di fare a meno di tutti i sentimenti e quindi se accettiamo l’una dobbiamo accettare l’altra.

Lacan scriverà un saggio complicatissimo che s’intitola Kant con Sade (1963), dove illustra che Kant si spiega con Sade, ma qui nel suo Seminario sull’Etica ci dà la misura di come questo tentativo dell’etica kantiana proseguito da quella di Sade trovano il loro scacco proprio sul principio di realtà che comporta l’eliminazione di tutti i sentimenti.

Certo, la logica di Sade, sembra seguire in un modo altrettanto rigoroso quella di Kant se noi possiamo sconvolgere tutti i principi che sono contenuti nel Decalogo, i dieci comandamenti, dei quali tuttavia Lacan ha detto che sono nell’insieme le leggi della parola, perché fanno sì che la parola esista.

L’etica kantiana, pur basandosi sul principio di realtà fa a meno di tutti i sentimenti tranne uno, perché, ad un certo momento, fa eccezione su un sentimento, quello del dolore, vi leggo la citazione: “Quindi possiamo vedere a priori che la legge morale, come motivo determinante della volontà, per il fatto stesso di arrecare danno a tutte le nostre inclinazioni, deve produrre il sentimento che può essere chiamato dolore.”

Giustamente se devi fare a meno dei sentimenti e non devi avere nessun riguardo né per tuo figlio né per tua figlia né per tua moglie, cioè devi agire sempre in modo che la tua azione venga considerata come valida per tutti, per il fatto di calpestare ogni sentimento il tuo agire produce dolore, l’unico sentimento su cui Kant fa eccezione.

Lacan ricorda a questo proposito che “pure Sade è d’accordo su questo”, anzi raccomanda che dobbiamo anche averlo di mira questo dolore, e se voi ricordate, perché è difficile che qualcuno di voi abbia letto Juliette o la Filosofia del boudoir, se qualcuno ha visto Le 120 giornate di Sodoma di Pasolini, quello che viene  perseguito è questo sentimento del dolore.

Così Lacan ritorna ai Comandamenti, dicendo che proprio le leggi del Decalogo nella loro enunciazione originaria ci possono indicare la strada per un etica che riesca superare questa soglia per forzare il campo di das Ding.

Lacan li enumera rapidamente enunciando di sfuggita il primo, Io sono quel che sono, sorvola  addirittura sull’interdizione dell’omicidio, pensate, però si sofferma sulla menzogna, sull’interdizione della menzogna.

Uno dei comandamenti è Non dire falsa testimonianza, non mentire, perché qui abbiamo qualcosa che è vicino a ciò che avevamo detto prima che l’inconscio si rivela tramite una menzogna, ricordate il Proton pseudon dell’isterica, siamo già in sintonia con l’inconscio freudiano perché la menzogna è quella che ha un legame profondo con l’inconscio.

Il Tu non mentirai è il comandamento in cui si fa sentire per noi nel modo più tangibile il legame intimo con  la legge del desiderio nella sua funzione strutturante. In questo enunciato Tu non mentirai è come estratto il soggetto dell’enunciazione per colui che lo enuncia come legge, estrazione dove è inclusa la possibilità della menzogna, come il più fondamentale dei desideri.

Lacan precisa che tu non mentirai non tratta la falsa testimonianza, e cita il paradosso di Epimenide il cretese, il quale affermando come verità che tutti i cretesi sono mentitori, cade nella contraddizione perché lui stesso è cretese e dicendo una verità, cadrebbe in un paradosso logico. Paradosso che Lacan supera, precisando che il soggetto dell’enunciato e il soggetto dell’enunciazione si distinguono, sicché Epimenide come soggetto che enuncia non è assimilabile al soggetto dell’enunciato in quanto cretese, quindi non c’è paradosso logico, e comunque qui siamo davanti a qualcosa che è dell’ordine dell’inconscio, come abbiamo visto con il proton pseudon di prima.

A questo punto Lacan considera la giusta insurrezione che si può avere davanti al fatto che nel perseguimento e denuncia della menzogna qualcosa possa ridurre la possibilità di parola del soggetto, perché nella denuncia della menzogna ciò che è messo in gioco è la parola del soggetto, che, per se stessa, “questa parola non sa nemmeno lei che cosa dice quando mente”, che è proprio un principio della cura psicanalitica, dove il soggetto parla e non sa di mentire, che quanto più mente tanto più dice la verità.

Tutto questo ci porta al rapporto fondamentale tra legge e desiderio, e a questo proposito Lacan cita un’altra legge del decalogo Non bramerai la casa del tuo prossimo, non desidererai la moglie del tuo prossimo, né il suo servo né la sua serva, né il suo bue, né il suo asino né niente altro di quanto appartiene al tuo prossimo.

Lacan dice che si potrebbe anche ironizzare, ma lui non è d’accordo, nell’accostare la donna all’asino, ma non è dei singoli beni che si discorre in questo comandamento, ma, nel loro complesso, di quelli in cui il soggetto si riposa: sono presi cioè nel loro insieme in quanto rappresentano das Ding.

Nell’insieme degli oggetti da non desiderare c’è La Cosa del mio prossimo, das Ding, e mantenendo la distanza dalla cosa, preservo la possibilità della parola stessa perché questo comandamento, come legge del decalogo, trae il proprio principio di funzionamento proprio dal fatto che è la legge della parola.

Che il soggetto possa mantenersi a distanza da das Ding per trovare un proprio assetto questo non vuol dire poi che la legge è fatta per non essere trasgredita, come avviene regolarmente in ogni momento per tutte le leggi del Decalogo.

Per mantenervi attenti sul percorso tortuoso di questa lezione ricordo che Lacan infine si chiede: “Tutto questo dove ci porta? La legge è forse la Cosa, questo no, tuttavia io non ho potuto prendere coscienza della cosa se non attraverso la legge. Non avrei avuto l’idea di bramarla se  la legge non avesse detto: non la bramerai. Ma la Cosa, trovando l’occasione, suscita in me ogni sorta di bramosie grazie al comandamento; infatti senza la Legge la Cosa è morta. Ora, io un tempo ero vivo, senza la Legge. Ma quando è intervenuto il comandamento, la Cosa è divampata, mentre io ho trovato la morte. E il comandamento che doveva darmi la vita è diventato per me causa di morte; la Cosa infatti, trovata l’occasione per mezzo del comandamento, mi ha sedotto e attraverso di esso mi ha fatto desiderio di morte.”

Non ha l’aria di una composizione poetica? È la Lettera ai Romani di Paolo, è lo stesso testo dove Lacan ha sostituito soltanto la parola “peccato” con “Cosa”, è proprio identico come nella Lettera ai Romani di Paolo.

Già Paolo, dunque, ci ha insegnato che Legge e Desiderio sono la stessa cosa, se è soltanto attraverso la Legge che si giunge al peccato.

Il termine peccato in greco significa mancanza, in realtà io ho trovato fallo, ma fallo e mancanza sono la stessa cosa e quindi in greco vuol dire mancanza.

La scoperta freudiana, l’etica psicanalitica ci lasciano forse sospesi a questa dialettica che legge e desiderio sono la stessa cosa? Sicché Lacan si chiede a questo punto: “Possiamo ricavarci un’erotica dalla psicanalisi?” Freud era tentato di farlo, dice, però poi non l’ha fatto e si è occupato della sessualità e del rapporto uomo-donna.

E rispetto a questo rapporto uomo – donna Lacan, facendo un gioco di parole, si chiede divertito che cos’è, che cosa possiamo farne di questo danno a cui ci troviamo di fronte nel rapporto con das Ding. È più facile in italiano, perché Lacan gioca sui termini Dam e Dame, che in italiano fanno Danno – Donna.

Più avanti noi ci occuperemo di questo rapporto uomo-donna ma intanto nella prossima lezione ci occuperemo delle pulsioni e poi parleremo della creazione ex nihilo a partire dall’amor cortese e quindi dalla sublimazione.

Trascrizione

Valentina Bellini