La morte di Dio – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 13 Ottobre 2017

La morte di Dio – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 13 Ottobre 2017

13 Ottobre 2017

 

Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan

 

La morte di Dio

 

L. Burzotta

 

È molto interessante quello che ci ha illustrato oggi nel primo pomeriggio la Dott.ssa Vennemann sull’Uomo Mosè e la religione monoteistica perché introduce qualcosa che ha a che fare con le origini, per cui occorre riferirsi a Totem e Tabù, che è il saggio principe da cui nasce tutto questo fermento mentale di Sigmund Freud.

Rispetto a Totem e Tabù devo dire che è stata anche una delle mie prime letture di Freud, che all’epoca trovai avvincente; benché sapessi che Freud in Totem e Tabù sosteneva alcune cose che avevano in qualche modo irritato gli etnologi e gli antropologi, i quali gli hanno contestato che di tutto quello che lui svolge nel suo saggio, non c’è niente che corrisponda nella ricerca che loro hanno fatto sul campo, dal punto di vista etnologico e antropologico, e dobbiamo ammettere che probabilmente è vero, forse non c’è nulla sul campo che possa giustificare l’evento primordiale supposto da Freud.

Quello che dice Lacan, di questo evento ipotizzato nel Totem e Tabù di Freud, è che si tratta di un mito inventato da Freud, l’unico mito, aggiunge, inventato in epoca moderna.

In che cosa consiste questo mito? Consiste  nell’ipotesi di Freud di una popolazione arcaica originaria che viveva allo stato di natura, dominata da un padre scimmione. Mi viene subito da attribuire a questo padre, che vuole per sé tutte le donne, il termine scimmione, perché è quello che succede in certi branchi animali in cui c’è un capo che tiene per sé tutte le femmine e soltanto dopo che lui ha dato dimostrazione di debolezza può essere sostituito in questo ruolo.

Freud ipotizza che ad un certo punto i fratelli, che non ne potevano più del predominio di questo padre geloso, si alleano  e lo uccidono. La cosa singolare, secondo Freud, ma che corrisponde a qualcosa di squisitamente analitico è la conseguenza del parricidio: il fatto di aver eliminato colui che possedeva tutte le donne e che interdiceva la Cosa, non cambia nulla riguardo al divieto di avere liberamente accesso all’essere femminile, perché pur avendo eliminato fisicamente il padre l’interdizione rimaneva. L’interdizione della Cosa rimaneva, anzi ancora più forte dopo il parricidio: è la cosa più rilevante in questo mito di Totem e Tabù.

Lacan a tale proposito precisa che sta lì la faglia dell’interdizione ed è una faglia tale che, come vedremo, tanto più da parte di tutti noi ci si mette dal lato di concedere all’interdizione, tanto più la legge diventa per noi severa ed intollerante: più cerchiamo di stare nei termini della legge tanto più questa legge diventa severa e feroce, è il Super io di Freud.

Lacan aggiunge che non è vero il contrario, cioè non è vero che se io voglio fare a meno dell’interdizione della legge e mi abbandono allo sfrenato godimento, le cose filano più spedite in questo verso, perché trovo ostacoli insormontabili, sicché sono obbligato a passare per l’interdizione se voglio dirigermi verso il godimento, cioè devo farlo passando attraverso la legge.

Lacan dirà, come vedremo dopo, che l’interdizione è una specie di autocingolato che mi permette di attraversare il terreno impervio della legge per giungere al godimento.

Ho voluto fare questa premessa e partire proprio da Totem e Tabù, perché questo saggio che stiamo esaminando L’uomo Mosè e la religione monoteistica di Freud fa riferimento direttamente a Totem e Tabù, cioè non si terrebbe in piedi senza il riferimento a quest’opera.

Lacan affronta questo tema nella lezione XIII del seminario L’Etica della Psicanalisi, e pensando alle persone che mi hanno seguito l’anno scorso per l’analisi delle prime dodici lezioni, io devo dire che nutro verso di loro una sincera ammirazione perché hanno avuto una pazienza straordinaria. Sono andato a rileggere la trascrizione che ne ha fatto valorosamente la Dott.ssa Valentina Bellini, ed ho costatato che il mio discorso è arduo in certi punti, ed era veramente difficile seguirlo.

A questo punto del suo Seminario Lacan sente la necessità di parlare, tra l’altro, di un tema scottante, e Jacques Alain Miller, che ha curato l’edizione dell’Etica della Psicanalisi, mettendo insieme e riordinando gli appunti del Seminario e attribuendo un titolo a ogni lezione, a questa XIII ha messo come titolo La morte di Dio. È vero che vi si parla della morte di Dio però Lacan non dava dei titoli alle lezioni che andava svolgendo, per cui diciamo che questo titolo è un po’ arbitrario come tutti gli altri.

In che modo questo tema è legato all’interdizione e alla questione del godimento?

Lacan, nelle lezioni precedenti, ha tentato di spiegare, seguendo l’Entwurf, che nel nostro apparato psichico che Freud chiama Real-ich, c’è un funzionamento particolare con una gravitazione di significanti che ruotano intorno a qualcosa senza raggiungerlo mai, cui corrisponde topologicamente nell’apparato neuronico un susseguirsi continuo di connessioni e di percorsi facilitati in una specie di calotta, per evitare di superare un certo limite.

Questo qualcosa, intorno a cui i Vorstellungs-Repräsentanzen, cioè i rappresentanti della rappresentazione, ruotano è ciò che c’è di più temibile e appetibile al tempo stesso.

Sui Vorstellungs-Repräsentanzen, mi sono dilungato in altre lezioni, ma devo ricordare che il movimento orbitale di questi elementi significanti, fa da pendant alla descrizione topologica che Lacan dà, in parallelo, dell’apparato psichico, Real-ich, come rete di percorsi facilitati, che essendo regolati dalle leggi del principio di piacere, tendono a mantenere l’omeostasi.

D’altro canto pure le orbite dei significanti, nel tentativo di raggiungere quel qualcosa che Freud chiama das Ding, tenendolo sempre alla giusta distanza, tendono a costituire una rete con un limite invalicabile, che contorna quel campo centrale.

Sono due diversi e complementari processi che concorrono alla costituzione e al funzionamento dell’apparato psichico, entrambi governati dal principio di piacere per non andare al di là.

È in rapporto a questo al di là che a questo punto del Seminario si parla di morte di Dio e di interdizione del godimento.

Come poco fa vi dicevo, tanto più, dopo l’eliminazione dell’ostacolo al godimento, si tenta questo volgersi dal godimento verso l’interdizione, nel senso di dare le spalle al godimento per attenersi all’interdizione, tanto più la legge diventa severa; perché avviene proprio la stessa cosa che è avvenuta secondo Freud a quei componenti del mitico complotto, ai fratelli che hanno ucciso il padre: a quel punto, è fatta, possono finalmente godersela, quella Cosa, ma non ci riescono perché trovano in se stessi l’ostacolo che lo impedisce.

Qui, secondo Freud, troviamo l’origine della legge, e a tal proposito vi ho portato qualcosa… un brano… che adesso non trovo. Volevo cominciare con una mia trouvaille, un altro passo di San Paolo, sul quale per ora sorvolo e vi invito ad andare per il momento alla p. 105, ecco siamo tornati alla lezione VI che abbiamo analizzato l’anno scorso, sentite, sembra una composizione poetica: “La legge è forse la Cosa?  Questo no, tuttavia io non ho potuto prendere conoscenza della Cosa se non attraverso la legge. Non avrei infatti avuto l’idea di bramarla se la legge non avesse detto – non la bramerai – ma la Cosa trovando l’occasione, suscita in me grazie al comandamento ogni sorta di bramosie. La Cosa infatti senza la legge è morta. Ora io un tempo ero vivo senza la legge, ma quando venne il comandamento, la Cosa si accese, trovò la vita, mentre io trovai la morte. E il comandamento che doveva darmi la vita divenne per me causa di morte. La Cosa infatti trovata l’occasione per mezzo del comandamento mi sedusse e attraverso di lui mi ha fatto desiderio di morte.”

Lacan ha eseguito la lettura di questo testo con un piccolo trucco che subito rivela: “Credo che da qualche minuto almeno qualcuno di voi abbia avuto il dubbio che non fossi più io a parlare”. In effetti facendo una piccola modifica, sostituendo il termine “Cosa” al posto di “Peccato”, ha letto il discorso di San Paolo su i rapporti tra la legge e il peccato. Ha letto dunque un brano del vangelo, la Lettera ai Romani di San Paolo, con la sola sostituzione di “peccato” con “Cosa”.

San Paolo dice esattamente ciò che Lacan sostiene che è soltanto attraverso la legge che si può peccare, non ci si può astrarre dalla legge per peccare, si deve passare attraverso l’interdizione, perché l’interdizione, ci dice, interviene proprio come un autocingolato che attraversa un territorio altrimenti non percorribile. Quindi se voi vi trovate un po’ in difficoltà con il godimento allora rivolgetevi all’interdizione, perché per mezzo dell’interdizione è come se vi dotaste di un fuoristrada che vi fa passare attraverso un territorio impervio per arrivare al godimento.

Questo è quello che propone Jacques Lacan ispirandosi proprio  alla Lettera ai Romani di San Paolo.

Dal canto mio, alle prese con questa lezione di cui mi accingevo a parlare oggi, ero incuriosito perché Lacan dice certe cose che mi sembrano suggerite dal fatto che lui in qualche modo ha sempre un conto aperto con  la religione. Non so quanto possa avere influito il fatto che lui aveva un fratello che aveva preso i voti da monaco e quindi probabilmente chissà quante discussioni i due fratelli hanno avuto da giovani su temi religiosi.

Non so se anche voi, ma io, da ragazzo coi compagni di scuola facevamo delle discussioni al liceo sulla questione del libero arbitrio, anche perché all’epoca eravamo portati ad interrogarci su questi temi dovendo studiare la Riforma di Lutero, un passaggio cruciale, se qualcuno di voi si ricorda, per i nostri studi liceali. E Lutero dice una cosa rilevante rispetto alla Grazia.

Voi sapete la lunga questione delle indulgenze, di cui la Chiesa faceva commercio a quel tempo, perché c’era una corruzione molto diffusa sulla vendita delle indulgenze e Lutero è stato severissimo al riguardo dicendo, per dirla in breve, che “la Grazia uno o ce l’ha oppure non la compra”, perché egli sosteneva in modo molto deciso che la Grazia divina è come un dono che è stato concesso in principio, oppure no.

Ricordo questo perché Lacan a questo punto del Seminario dice che ci sono alcune verità religiose, alle quali non c’è bisogno che uno sia legato ad una fede per doversi interessare, anzi come psicanalisti dobbiamo interessarci a questi temi, “per esempio una nozione come quella della Grazia è qualche cosa che ci deve interessare per ciò che riguarda la psicologia dell’Atto”.

Che cosa intendiamo allora per Grazia? C’è l’interpretazione  luterana e c’è quella cattolica che sono proprio diverse rispetto a questo tema, e infine noi adoperiamo la parola Grazia anche nel discorso comune.

Se voi cercate sul dizionario la parola Grazia vi potete trovare come senso qualcosa che riguarda la padronanza del corpo, quella che sentiamo di avere in certi momenti della nostra giornata, oppure uno stato di grazia per il nostro essere di pensiero in armonia con le nostre attività fisiche, una certa eleganza nel modo di comportarci e condurci.

Diciamo appunto che sentiamo il nostro corpo aggraziato o avvertiamo negli altri questa Grazia. Mi sovviene ad esempio un verso di Garcia Lorca: “La grazia di un contadino che scavalca un ruscello con un salto”. Dunque si tratta di qualche cosa che rispetto alla psicologia dell’atto, come dice Lacan, pur essendo un termine che ha un’origine religiosa, ci deve far riflettere e interessare.

Poco fa vi parlavo di una mia trouvaille, di un brano che non ritrovavo tra i miei fogli. Eccolo  qui, esso contiene un riferimento alla Grazia, è un altro passo della Lettera di San Paolo ai Romani dove dice: “Il contrario del peccato non è la virtù ma la Grazia. È la Grazia che risana la malattia mortale di cui è affetta la creatura umana, la legge poi è intervenuta a moltiplicare la trasgressione, ma dove il peccato è abbondato la Grazia è sovrabbondata. Che diremo dunque? Rimarremmo nel peccato affinché la Grazia abbondi?”.

Sembra che Lacan voglia giustificarsi parlando di temi religiosi, perché viene dalle Conferenze tenute in Belgio presso l’Università Cattolica, dove ha trattato questo tema della religione e dice che vi ha portato, su questa questione della trasgressione e del godimento, il saggio di Freud L’uomo Mosè e la religione monoteista.

Che cosa ci dice Lacan a proposito di questo saggio Freudiano?

È interessante tutto quello che ha riferito la Dott.ssa Vennemann rispetto alla lunga gestazione in Freud dell’Uomo Mosè e la religione monoteista che si è protratta fino agli ultimi giorni della sua vita in Inghilterra. È vero, questo saggio era il suo figlio prediletto e io mi sono anche occupato di questo Uomo Mosè e la religione monoteistica in passato, alla stessa epoca in cui se ne è occupata la Dott.ssa Vennemann, dando a mia volta una lettura completamente diversa, che ora non vi dico.

Vi dico invece quello che articola Lacan qui nell’Etica della psicanalisi, leggo perché è bello questo modo di procedere di Lacan, sentite come lo introduce: “Freud prende sul tema dell’esperienza religiosa una posizione molto netta, afferma che tutto ciò che in quest’ordine è apprensione sentimentale non gli dice nulla, è per lui lettera morta, soltanto che noi [Jacques Lacan] se abbiamo qui davanti alla lettera la posizione che è la nostra – [vi dico per inciso che rispetto alla lettera, su l’istanza della lettera che è proprio la lettera dell’alfabeto, lui ha scritto un saggio fondamentale, l’Istanza della lettera nell’inconscio] – per morta che sia questa lettera, tale lettera è stata nondimeno articolata”.

Con questa premessa prendiamo in esame un tema religioso, un certo messaggio che interessa la funzione del padre. Il messaggio è appunto quello della religione monoteistica che ha tenuto occupato Freud negli ultimi anni della sua vita.

Voi sapete che prima della religione monoteistica, c’era il politeismo, che nel mondo greco romano si chiamava paganesimo. Pure in Egitto, vigeva una religione politeistica con una prevalenza del dio Ammone; e fu il faraone Akenaton che nel XIV secolo ha tentato di stabilire una religione monoteistica. Ora secondo Freud che è un ateo, questo messaggio monoteistico istituito dal faraone ha acquisito, grazie a un Grande uomo che è Mosè, un valore decisivo.

Sappiamo come la versione cristiana di questo messaggio ha preso piede in occidente a danno dell’antica religione greco romana, il paganesimo, che di fronte al detto messaggio ha perso terreno ma non proprio del tutto, perché il culto persisteva tenace nei villaggi, pagus, da cui proviene il termine paganesimo, perché è solo grazie alla diffusione del messaggio di San Paolo che il Cristianesimo si è installato in occidente.

Voi sapete che il vero inventore del Cristianesimo è San Paolo, è lui che ha promosso la sua diffusione con la formula tanto geniale quanto diplomatica: “date a Cesare quel che è di Cesare, e a Dio quel che è di Dio”.

Considerate la grande lungimiranza di coloro che hanno propagato il Cristianesimo in occidente, basta vedere come andavano a innestare il loro culto nei posti dove c’era già fiorente un culto pagano: andate a visitare la Basilica di San Clemente qui a Roma e vedrete che scendendo giù, sotto, c’è la Basilica inferiore e scendendo ancora, nel piano inferiore, trovate il tempio di Mitra intatto con l’altare originario scolpito nel marmo. Questo ve lo dico per chiarire di che cosa si tratta quando noi diciamo della propagazione di questo messaggio monoteistico e della funzione che ebbe questo messaggio.

A questo punto della sua esposizione Lacan è costretto ad aprire una parentesi, perché si chiede come questo messaggio monoteistico ha completamente eliminato tutto. Ma che cosa ha eliminato?

Ci dice che nell’ambiente pagano nel momento in cui è in piena fioritura la religione politeistica “il numen sorge ad ogni piè sospinto, a tutti gli angoli delle strade, delle grotte, agli incroci il numen tesse l’esperienza umana e possiamo scorgerne ancora le tracce in molti campi”: è qualcosa che contrasta  con la professione di fede monoteistica?

C’era certamente qualcosa  nel paganesimo che in qualche modo coinvolgeva gli uomini e li teneva imbrigliati. Addirittura  in questo pullulare del numinoso, in questo tenere allacciati gli uomini già all’epoca del paganesimo, Lacan suppone che costituirono una specie di alleggerimento le favole, quelle che nacquero all’epoca greca, omerica soprattutto: era tale l’avvitamento degli uomini da parte di questo numinoso, era così formidabile che loro in qualche modo volevano liberarsene. E come secondo Lacan? Alleggerivano la stretta creando quelle favole antiche dove gli dei, tanto temuti e rispettati, erano concepiti come esseri che si abbandonavano all’ebbrezza ed erano schiavi delle passioni come gli uomini; sicché ora ci chiediamo come era possibile che le suddette favole fossero compatibili con la fede in questi stessi dei.

Forse gli antichi erano così allacciati dal numinoso che hanno dovuto creare questo espediente delle favole per rendere l’aria più respirabile: se leggete l’Iliade vi rendete conto che questi dei si comportano esattamente come gli uomini.

Però a me qui è venuta una riflessione, un dubbio: quando noi parliamo di Grecia antica, di Omero, quando parliamo dei suoi protagonisti, mica parliamo della gente bassa, parliamo sempre di gente di alto rango.

I greci che dominavano, che reggevano lo stato, amavano definirsi come kaloi kai agatoi, kaloi kai agatoi, (belli e buoni); erano cioè dotati di una bellezza e di una bontà divina: loro erano già divini.

Se voi leggete l’Odissea vedete come Omero racconta la vestizione di Ulisse dopo che è stato rinvenuto nudo dalla bella principessa Nausicaa: viene lavato, vestito e subito la dea versa ambrosia sulla sua testa per rendergli un aspetto divino.

Questi eroi antichi sono kaloi kai agatoi, sono al livello degli dei, quindi gli dei sono fatti a immagine e somiglianza  degli uomini. Però è anche vero quello che dice Lacan che questo numinoso tesseva l’esperienza degli uomini a ogni momento. E qui mi fermo perché sennò andiamo troppo oltre, è stata una piccola mia parentesi che ho voluto aprire entro la parentesi che Lacan apre rispetto al messaggio monoteistico: sul numinoso che tesseva l’esperienza dei pagani.

Considerata tuttavia l’affinità dell’uomo greco di alto rango con gli dei, possiamo supporre che il culto possa sorgere anche, in epoche diverse, nel momento in cui il nume s’incarna nell’uomo di eccezione, sicché il “Grande uomo” diventa oggetto di culto. È certo che Mosè fu un “Grande uomo”.

In questa storia di Mosè, Freud distingue un Mosè egizio da un Mosè madianita. Il Mosè egizio è quello che ci ha illustrato la Dott.ssa Vennemann ed è il Mosè che ha lasciato l’Egitto con un gruppo di uomini per guidarli in una avventura grandiosa che avrebbe dato loro la dignità di un popolo, il loro riconoscimento e la loro importanza.

Lacan ironizza anche su questo “Grande uomo” ch’era Mosè, che “voleva forse fare il socialismo in un solo paese”, solo che ad un certo momento, secondo Freud, viene ammazzato dagli stessi uomini che lui conduceva fuori dall’Egitto verso la Palestina.

Sicché questo Mosè razionalista che aveva cercato di divulgare la religione monoteistica di Akenaton, sarebbe stato eliminato dai suoi stessi seguaci, probabilmente perché era divenuto scomodo. Un grande uomo che vuole imporre la propria volontà, per quanto razionalista, nella sua intolleranza può apparire troppo severo agli uomini a lui sottoposti, quelli comuni, che sono a volte dominati da passioni basse, inclini a piccole beghe, e può accadere che ad un certo punto si vogliamo sbarazzare delle persone di rango, come appunto sarebbe avvenuto con questo Mosè secondo Freud.

Accanto a questo Mosè razionalista, tuttavia, ce ne sta un altro, il Mosè madianita, che sarebbe quello del Sinai o dell’Oreb ed è il Mosè oscurantista. Abbiamo così un Mosè razionalista e un Mosè oscurantista, secondo la distinzione di Freud.

È anche vero che storicamente non è che sia una cosa così facile da accertare che ci sia stato un Mosè razionalista e un Mosè oscurantista distinti l’uno dall’altro. Per esempio Moustapha Safouan dice che storicamente non c’è questa distinzione, che non è possibile reperirla. Qui siamo di nuovo alla considerazione di prima, che non è tanto importante la verità storica, ma che è rilevante quello che Freud vuole costruire, cercando di fare un parallelismo tra filogenesi e ontogenesi, tra la storia mitica e quella individuale ch’egli scorge sotto ogni nevrosi.

Freud avanza che la religione giudeo-cristiana ha potuto compiere quel percorso che altre religioni non hanno compiuto e cioè portare allo svelamento l’uccisione originaria, perché vede nell’uccisione di Mosè qualcosa di simile all’uccisione dello scimmione di Totem e Tabù.

È tuttavia soltanto nell’oscurantismo, nell’oblio dell’inconscio, che è conservato e trasmesso qualche cosa che è stato rimosso.

L’uccisione del Mosè razionalista viene rimossa, conservata grazie alla rimozione, finché nella storia non avviene il riconoscimento, che porta alla luce la verità di quello che è l’assassinio del “Grande uomo” che è sempre l’assassinio del padre, cioè del padre di Totem e Tabù.

In sintesi Freud lega insieme la storia di Mosè con il suo mito di Totem e Tabù, ne fa la stessa cosa per avanzare la tesi che soltanto Cristo ha portato a compimento il ciclo e lo svelamento della verità.

È il “Cristocentrismo” di Freud messo poi in evidenza da Lacan: soltanto con l’avvento del Cristo, che assume su di sé la morte del padre, è svelato di cosa si tratta veramente con l’assassinio di Mosè e cioè del crimine originario che riguarda l’assassinio del padre primordiale in Totem e Tabù.

Questo è il percorso che fa Freud, e non importa che tutto questo sia storicamente fondato, benché Freud effettivamente lo leghi a qualcosa che lui ha studiato appoggiandosi allo storico Sellin, che avrebbe scoperto che Mosè era vissuto nel XIV secolo a.C. alla corte del faraone Amenofi IV, che aveva introdotto questa religione del Dio Aton, assumendo il nome di Akenaton.

Il giovane faraone, aveva, è vero, imposto il culto del disco solare, come tentativo di dare una spiegazione razionale del mondo, però che ci fosse stato veramente un Mosè egizio che, secondo Freud, abbia veramente compiuto questa impresa di condurre, dopo la morte di Akenaton, un popolo dall’Egitto in Palestina per dare loro questa religione unitaria e che sia stato trucidato dai suoi seguaci durante il viaggio, questo è tutto da dimostrare.

Dal punto di vista psicanalitico tuttavia mi sembra che questa costruzione sia totalmente accettabile.

Tuttavia Lacan si ferma a riflettere, a proposito di questo Mosè madianita che lui chiama anche del Sinai o dell’Oreb.

Se il Mosè del Sinai è quello che riceve la parola di Colui che gli detta i dieci comandamenti e quello dell’Oreb è quello che ode la voce che dal roveto gli dice, “IO SONO QUEL CHE SONO”, Lacan si interroga: “Davanti a chi e di fronte a che cosa egli era sul Sinai e sull’Oreb?”

Di fronte a chi e di fronte a che cosa? E  si risponde da solo: “dopotutto non avendo potuto sostenere lo splendore del volto di colui che dice io sono quel che sono, ci accontenteremo di dire dal punto in cui siamo, che il roveto ardente è la Cosa di Mosè”.

La Cosa di Mosè sarebbe il Ça, e Lacan, come voi sapete, sostiene che la Cosa, Ça parle.  Quindi  intende dire che i dieci comandamenti vengono dalla pulsione inconscia di Mosè, perché per Lacan l’Es è qualche cosa che parla: Ça parle.

Per inciso ricordo che Lacan dice che “nessuno può dire la verità, perché la verità parla da sola in noi”. Qualcosa parla in noi e questa è la dimostrazione che ci sono dei momenti in cui diciamo inavvertitamente delle cose per impulso senza l’intenzione di dirle, delle cose che pertanto parlano da sole. È questo il Ça parle, che è la premessa della Bedeutung, della significazione dell’inconscio.

Questo collima perfettamente con quello che Lacan ha già detto, che questi dieci comandamenti sono propriamente le leggi della parola. E queste leggi della parola che cosa sono? Sono quelle dettate dai nostri moti pulsionali inconsci.

Quindi abbiamo un Mosè razionalista e un Mosè ispirato, oscurantista, in contrasto, e il messaggio dell’uno si trasmette nell’oscurità dell’altro.

Il messaggio unitario del Dio unico razionalista si trasmette nell’oscurità e si lega nella rimozione a qualcosa di più antico che sarebbe l’assassinio del padre primordiale di Totem e Tabù.

Quello che viene operato con la religione cristiana è che con il Cristo il messaggio monoteista va propriamente a compimento.

Tutto risuona sullo sfondo dell’assassinio inaugurale dell’umanità, del padre primitivo, che viene riportato alla luce proprio dalla Redenzione, è quanto sostiene Freud in questo saggio tardivo e a lungo meditato, L’uomo Mosè e la religione monoteistica.

Torniamo sulla questione del godimento e della trasgressione.

Lacan ci dice che tutta l’arte di Freud, il senso di Totem e Tabù, consiste nel legare all’assassinio del padre il ritorno dell’amore dopo il compimento dell’atto mitico.

Tutto il mistero sta in questo atto e nelle sue conseguenze, giacché l’assassinio del padre non apre la via al godimento che la presenza di costui era ritenuta interdire, ma addirittura ne rinforza l’interdizione, sicché paradossalmente è solo per via della trasgressione che si può ottenere qualche godimento.

Leggiamo direttamente come si esprime Lacan qui nel testo: “Freud scrive Il disagio della civiltà per  dirci che tutto quel che viene girato dal godimento all’interdizione va nel senso di un rafforzamento sempre crescente dell’interdizione. Chiunque si sforzi di sottomettersi alla legge morale vede intensificarsi in modo sempre più scrupoloso e crudele le esigenze del Super-io. Perché non succede lo stesso in senso contrario? Un godimento senza freni in nome di una qualsiasi forma di rigetto della legge morale incontra ostacoli sempre crescenti.”

Non funziona nel senso contrario vuol dire che un godimento senza freni non produce un rafforzamento del godimento, perché il rigetto della legge morale non ha lo stesso effetto che ha invece il tentativo di girare dal godimento all’interdizione, cioè di lasciare il godimento per l’interdizione, dove l’interdizione diventa sempre più forte; il contrario non avviene, perché dando le spalle all’interdizione non si rinforza il godimento, per il quale invece si trovano degli ostacoli sempre più insormontabili.

Allora per accedere al godimento è necessaria la trasgressione, che può servire da fuoristrada per uscire dai meandri che riportano l’uomo sulla strada di una soddisfazione corta e senza sbocco, perché il godimento, lasciato libero, senza passare per l’interdizione, va piano piano scemando. Quindi se noi non facciamo questo passaggio attraverso la legge, il godimento diventa sempre più scadente e da solo non ce la fa.

Da questo punto di impasse del godimento, torniamo ad affrontare la questione della morte di Dio, dove Lacan ci dice che quello che Freud propone nel suo mito del parricidio è strettamente necessario. In realtà Lacan nel testo francese dice che è esigito, è un’esigenza la costruzione di questo mito da parte di Freud.

Lacan sostiene che questa esigenza della costruzione di questo mito è qualche cosa che è dettato a Freud dalla sua epoca, che è l’epoca in cui Dio è morto.

Con questa legge che nasce dal parricidio primordiale ordito e commesso dai fratelli, secondo Lacan, Freud vuole significare che  il Cristianesimo vuole coprire proprio questo, il fatto che Dio è morto da sempre. Lacan spiega: “Egli è stato il padre solo nella mitologia del figlio, quella cioè che ordina di amarlo, lui, il padre, è nel dramma della passione che ci mostra che c’è una resurrezione dopo la morte. Ossia che l’uomo che ha incarnato la morte di Dio è sempre lì, è sempre con il comandamento che ordina di amare Dio, cioè è sempre con il comandamento che risorge, ha un comandamento per ognuno di noi e ci dice che dobbiamo amare Dio”.

È in questo che Lacan sulla scia di Hegel vede un messaggio ateo nel cristianesimo stesso e infatti Hegel enuncia che con il cristianesimo si completa la distruzione degli Dei.

Vi leggo  le ultime righe perché hanno un’aura poetica nella rievocazione del grande Pan “l’uomo sopravvive alla morte di Dio da lui stesso assunta, ma facendo ciò, è lui stesso a proporsi a noi. La leggenda pagana ci dice che sul Mar Egeo, al momento in cui si lacera il velo del tempio, risuona il messaggio: Il grande Pan è morto. Anche se Freud moraleggia  nel Disagio della civiltà, egli si ferma davanti al comandamento dell’amore per il prossimo.”

Voi sapete che il comandamento principe del Cristianesimo è: “Ama il prossimo tuo come te stesso”. Lacan ci fa notare che Freud si ferma inorridito davanti a questo comandamento: “come posso io amare il prossimo mio come me stesso”?

Se voi avrete la pazienza di tornare ad ascoltare queste mie chiacchierate, affronteremo questo tema dell’amore per il prossimo, è proprio nel cuore di tale problema che ci conduce la comune sciatteria del senso dato alla tendenza.

Freud parla della tendenza nell’opera Al di là del principio di piacere, e avanza che la pulsione di morte è quella che si trova al di là del principio di piacere.

Vedremo perché la pulsione secondo Lacan si articola in termini di significanti e come non possiamo intendere nulla di questo “al di là del principio di piacere”, che è regolato dalla pulsione di morte, se non intendiamo che essa è legata alla creazione di qualche cosa, per il tramite della distruzione: è il principio della sublimazione come creazione ex nihilo.

Solo se concepiamo la pulsione di morte, come articolata in significanti, c’è la possibilità della creazione ed è ciò che avviene in una psicanalisi quando ciò che emerge nel cuore dell’atto analitico, è questa possibilità di inventare, per il tramite dei significanti, un nuovo sapere.

Un sapere inconscio è qualche cosa che si inventa nel corso di un’analisi con l’interpretazione, quando si giunge alla  Bedeutung, alla significazione dell’inconscio. Per questo  il desiderio in ultima istanza è desiderio di morte, e Lacan dice che il desiderio e l’interpretazione sono la stessa cosa, perché nell’interpretazione noi troviamo l’invenzione di un sapere nuovo che è quello che si attua nello svolgimento del lavoro analitico.

Lo so che vi ho un po’ frastornato nelle ultime cose che ho detto ma voi ci sentite qualche cosa di particolare in questo, perché non si capisce niente di ciò che Freud ci ha insegnato nella sua opera cruciale che è Al di là del principio di piacere se non si intende che questa pulsione di morte è qualche cosa che è legato all’ordine dei significanti e cioè all’ordine del linguaggio.

Qui viene a proposito un passo che io sempre cito, che si trova alla fine del Seminario II di J. Lacan, dove egli conclude il suo anno d’insegnamento spiegando che la pulsione di morte non si comprende se non si considera che l’istinto di morte è muto – ricordate le parole di Freud su Eros e Thanatos, sulla pulsione di vita che è chiassosa, mentre la pulsione di morte è muta è silenziosa – “l’istinto di morte è la maschera dell’odine simbolico, che è in attesa, sul punto di venire alla luce”.

È la stessa cosa che vi dicevo poco fa quando vi parlavo dell’invenzione di un nuovo sapere nell’interpretazione dell’atto analitico, lì è in azione la pulsione di morte.

È per questo che la stanza dello psicanalista odora di morte, odora di morte perché li c’è qualche cosa che spinge per venire alla luce da noi stessi: qualche cosa che emerge soltanto attraverso la distruzione e rende possibile la creazione di un nuovo sapere, perché è lì che avviene un rinnovamento, questo passaggio grazie  all’atto analitico.

Nell’interpretazione analitica opera qualche cosa come una combinatoria di significanti, perché le produzioni dell’inconscio nell’atto analitico sono qualche cosa che noi costruiamo, elaboriamo per il  tramite di una combinatoria di significanti.

Io credo che questa precisazione di Lacan che il sapere inconscio si inventa, deriva proprio dal fatto che noi siamo sempre, con le formazioni dell’inconscio, di fronte a qualche cosa che viene cifrato.

Freud raccomandava agli analisti di fare la settimana enigmistica per esercitarsi, di sciogliere la cifra dei rebus, perché è lì che ci rendiamo conto per esempio che, come nei rebus, i nostri sogni “parlano cose”, nei rebus voi trovate che c’è una vignetta fatta di elementi accostati a cavolo, con delle cose assurde: un uomo che sta sopra un ombrello, oppure una casa rovesciata con delle lettere qua e là; per interpretare occorre arrivare attraverso la cifratura di questi elementi eterogenei alla composizione di una frase, come nell’interpretazione del sogno.

L’interpretazione dei sogni ci dice Freud consiste nell’invitare il paziente a parlare perché nel suo stesso dire c’è l’interpretazione del sogno ed è lì, dopo un lungo lavoro, che viene fuori tramite la cifratura, l’invenzione, e tutto il sogno si risolve in una scrittura.

Per scrittura io intendo l’atto di mettere in cifra, perché l’inconscio opera come uno scriba che mette in cifra, produce una scrittura che ci rivela un sapere nuovo che noi non sapevamo di avere, perché viene come inventato sul momento.

 

Trascrizione: Valentina Bellini