L’inconscio tra percezione e coscienza – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 16 Dicembre 2016

L’inconscio tra percezione e coscienza – Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan – 16 Dicembre 2016

16 Dicembre 2016

 

Lettura dell’Etica della psicanalisi di J. Lacan

 

L’inconscio tra percezione e coscienza

 

L. Burzotta

 

Ho riprodotto alla lavagna uno schema in due differenti versioni, di cui mi servirò per appoggiare il mio discorso, dato che non sto molto bene.

Abbiamo questo schema qui nella versione dell’edizione ALI del Seminario L’éthique de la psychanalyse, dove cambiano le righe, ma poi si tratta sempre di frecce che si incrociano, Miller l’ha ridotto a due incroci, perché Lacan parla di doppia decussazione, rendendolo più leggibile.

Voi vedete che rispetto a questo, nell’edizione ALI è più complesso perché è la riproduzione integrale di quello costruito da Lacan, quando parlava alla lavagna, e qualcuno lo ha trascritto fedelmente. Tuttavia in entrambi gli schemi c’è una doppia decussazione.

Oggi io vi voglio dare soltanto alcuni elementi di queste lezioni che trattano di qualcosa che nel testo originale nella lingua tedesca si chiama das Ding, la Cosa. Lacan davanti a un uditorio francese fa il confronto fra il das Ding tedesco e la Chose in lingua francese, dove questo termine la Chose aveva delle risonanze multiple nel discorso comune e ne ebbe tali nella sua dottrina, al punto che poi quando, vent’anni  dopo, sciolse l’Ecole Freudienne, fondò l’Ecole de la Cause Freudienne.

Per molti anni noi, qui a Roma, abbiamo lavorato sotto il significante Cosa Freudiana, che è un’Associazione, ancora esistente, da cui è scaturito poi il Laboratorio Freudiano.

È piena di risonanze questa Cosa, e pensavo l’altro giorno che gli italiani adoperano questo termine Cosa a profusione, come un termine jolly, per indicare qualcosa il cui nome non viene sulle labbra: “prendimi la cosa”, sicché l’altro risponde: “ma che cosa? In genere “cosa” viene in sostituzione della parola che non esce, e addirittura ho sentito il termine “cosare” in sostituzione del verbo specifico, quindi questa risonanza plurima funziona anche in Italia.

Da una sua ricerca Lacan ha trovato che la Chose viene da Cause; ma tanto più la nostra “cosa” viene da “causa”, c’è persino un’assonanza in italiano, dove la causa  è quella giuridica naturalmente.

Lacan fa tutto questo discorso partendo dall’Entwurf, il Progetto di una Psicologia, a cui ha dato grande rilievo pur essendo uno degli scritti di Freud più antichi, quando non si era ancora pienamente evoluto il suo pensiero psicanalitico, per cui vi troviamo ancora una descrizione dell’apparato neuronico nei termini scientifici dell’epoca, che designa i vari stati o parti di esso per il tramite di lettere, la lettera y (psi greco) che sarebbe l’apparato psichico propriamente detto, la calotta di cui parlavamo l’anno scorso, mentre con la lettera j (fi greco), Freud designa una parte dell’apparato neuronico, e precisamente quello che ha rapporto con l’esterno, che parte dal midollo spinale e arriva alla pelle, alle ossa e ai muscoli all’interno, j è dunque l’apparato che ha rapporto con l’esterno, però ci dice Freud che c’è una specie di crivello, di setaccio tra questo j (fi) e y (psi) perché non tutto viene accettato dal sistema y (psi) per la scarica.

Questo apparato psichico che, come dicevo, sarebbe identificabile da Lacan, nel seminario XI di cui parlavamo l’anno scorso, con quella calotta che topologicamente potrebbe corrispondere alla calotta della corteccia cerebrale, è un sistema che tende a creare una certa omeostasi per difendersi dall’esterno; ma cosa c’è all’esterno di così temibile?

È qui il punto. Punto di interrogazione al quale tenteremo di dare risposta e al quale Lacan tenta di dare risposta in tutto il seminario sull’Etica.

Lui parte da una divisione che Freud ha dato tra il processo primario e il processo secondario.

Chiunque legge l’Interpretazione dei sogni trova che Freud fa questa differenziazione tra processo primario e processo secondario, spiegandoci che il lavoro dell’interpretazione dei sogni serve proprio per riuscire a dare voce a questo processo primario, perché il processo secondario è il processo in cui domina il linguaggio.

Mi allontano un pochino da quello che stavo dicendo perché vado con la memoria a certi passi che ho fissato nella memoria dalla mia prima lettura dell’Interpretazione dei sogni, dove Freud ci dice che è importante che il malato continui a parlare e associare dopo il suo racconto del sogno, perché lì, nel suo dire, nel processo secondario in atto si può svelare qualcosa del processo primario, nel senso che è nel discorso che alla fine si arriva allo scioglimento di quella specie di rebus che è il sogno.

Infine quello che conta di tutto un sistema del sogno è lo svelamento di ciò che è stato messo in cifra come in un rebus, e Freud fa il paragone con la vignetta della settimana enigmistica che vi confonde perché mostra delle cose, senza un ordine apparente: un paesaggio, un fiume, un mulino a vento, e qua e là delle lettere collocate sopra le immagini.

Il sogno ci dice Freud è questa ricchezza caotica di cose, un’accozzaglia apparentemente insensata, perché il sogno è caotico, ma quello che conta, in tutto ciò che viene raccontato, è che noi riusciamo a trovarvi la sua logica, la cifra di una scrittura, come si fa con un rebus. E infatti il consiglio che egli dà allo psicanalista è: “sciogliete i rebus, fate parole crociate”, perché nella capacità di cifrare si esercita qualcosa del processo primario inconscio.

Io non credo che questo che vi ho detto sia inutile rispetto a quello che andremo a vedere ora nei tre, quattro capitoli di cui oggi mi occupo un po’ così alla rinfusa perché ci voglio tornare nei prossimi incontri, e ci aiuterà anche la Dott.ssa Vennemann che aggiungerà qualcosa in lingua originale.

Allora partiamo da questo doppio incrocio, qui rappresentato da frecce che partono da un lato e finiscono sull’altro lato, dalla colonna di sinistra alla colonna di destra e viceversa. Vedete che cosa c’è scritto sopra nella prima riga di ciascuna colonna, Principio di piacere a sinistra e Principio di realtà a destra, che corrispondono grosso modo al processo primario e al processo secondario, quello che effettivamente risulta dall’interpretazione del Progetto di una psicologia ma anche dalla lettura dell’Interpretazione dei sogni oppure di certi altri saggi come la Rimozione e la Negazione.

Quello che ne risulta è proprio tutto quel che è significato da queste frecce, e cioè che il processo primario, regolato dal principio di piacere, tende all’identità di percezione, perché io possa  provare piacere devo provare una percezione identica a quella che ho già provato.

Ma se il processo primario che sta qui, a sinistra, tende all’identità di percezione, la deve reperire e no può che reperirla qui a destra, sicché abbiamo creato il primo incrocio, e cioè avviene come se i due processi, Principio di realtà e Principio di piacere fossero in così stretto rapporto, sia per Freud che per Lacan, da potersi considerare dello stesso registro, perché “il principio di realtà è il correlativo del principio di piacere” e senza questa effettiva polarità correlativa, “non avrebbero senso né l’uno né l’altro”.  Inoltre, per completare la decussazione, il Principio di realtà, qui situato sul lato destro, dal canto suo, tende all’identità di pensiero, reperibile soltanto sul lato sinistro.

Il pensiero, situato qui sul lato sinistro, per sua natura è un processo inconscio. Questi processi di pensiero inconsci, ripeto, qui nella colonna di sinistra, la volta scorsa ve li avevo descritti come una serie di rappresentazioni che si richiamano una con l’altra, di rappresentazione in rappresentazione, “gravitano, si scambiano, si modulano secondo le leggi fondamentali del funzionamento della catena significante”, ma restano inconsci finché non trovano la strada della parola.

Il principio di realtà tende all’identità di pensiero che, per conto suo, può essere noto solo se viene tradotto in parola, vedete qui come funziona la doppia decussazione che abbiamo detto prima, i due campi sono strettamente intrecciati.

Questo spiega perché Freud situa l’inconscio tra percezione e coscienza, entre chaire et cuir, come dice Lacan.

Quindi questo accesso alla realtà è difficile, un accesso rinviato e tenuto a distanza anche perché da una parte l’apparato psichico, denominato  y (psi), tende all’omeostasi, per evitare che qualche cosa dall’esterno possa penetrare, e che si possa arrivare immediatamente alla scarica.

Dall’altra questo apparato psichico y è un apparato che opera con delle difese rispetto a qualche cosa che, dall’interno del soggetto, è stato originariamente portato in un primo fuori, un ”fuori” che non ha niente a che fare con la realtà, quella in cui il soggetto potrà in seguito reperire quei segni di  qualità che lo conducono sulla via della soddisfazione.

Un primo fuori, possiamo dire, messo fuori dell’apparato psichico y solo perché estraneo alla sua economia, un esterno che non ha nemmeno a che vedere con la realtà, sicché dobbiamo precisarlo come un interno escluso.

È per uscire da questa impasse che Lacan introduce il complesso del Nebenmensch, il prossimo, l’uomo accanto, che si trova articolato nell’Entwurf , il Progetto di una psicologia.

Freud ci dice di questo Nebenmensch che si divide in due parti, delle quali una, per il suo apparato costante, si fissa come cosa, als Ding, ed è quell’elemento che il soggetto isola come Fremde e viene messo subito fuori come estraneo e un’altra parte che, corrispondendo alla variabilità propria al dominio della qualità e dell’attributo, rientra nell’investimento del sistema y (psi) e partecipa a tutta quella serie di processi di pensiero inconsci che vanno di rappresentazione in rappresentazione e che restano inconsci fino a che non trovano la strada della parola.

Ma è attorno a quel primo Fremde, estraneo, e talvolta anche ostile, al quale Freud stesso dà il nome di das Ding, il primo esterno che non è da confondere con la realtà esterna, che si orienta tutto il percorso del soggetto rispetto al mondo dei desideri.

Rispetto a das Ding, Lacan ci mette in evidenza qualcosa che ha a che vedere con il reale, che potremmo esemplificare con il grido, il primo emesso dal bambino appena nato, in quanto denuncia la presenza di qualche cosa di ostile ed estraneo.

Altrove nel corso di questo seminario Lacan accenna alla prima esperienza del bambino, quando al momento della nascita è invaso da un elemento finora sconosciuto che è l’elemento dell’aria: l’invasione dell’elemento estraneo  provoca questo grido, che poi è ciò che tutti quanti si augurano perché è il segno, al momento della nascita, che il bambino respira.

Noi, nell’osservazione empirica, non sapremmo niente di questa esperienza dell’invasione di questo elemento se non ci fosse il grido, che tuttavia, pur avendo la caratteristica di oggetto estraneo e ostile non è ancora das Ding, che è un’altra cosa, perché, al contrario, corrisponde a ciò che è stato messo fuori dal soggetto, dall’interno all’esterno dell’apparato psichico, perché estraneo alla sua economia regolata dal principio di piacere: un oggetto mantenuto a distanza ma che resta al tempo stesso ciò verso cui tendono tutte le rappresentazioni del soggetto.

Noi tendiamo verso questo primo “Altro preistorico e indimenticabile”, ci dice Lacan, come fosse l’oggetto di una ricerca, ma di cui in realtà non si ha alcuna esperienza. Non è qualcosa di cui abbiamo una chiara rappresentazione, tale da poter dire: “Sto cercando questo”. Cerchiamo senza sapere che cosa, ne potremo forse avere un’idea soltanto nell’atto del ritrovamento, dove però ritroviamo qualche cosa che è relativa a un oggetto che in realtà non c’è, che addirittura non è mai esistito. Questa è l’ipotesi che fa Lacan a proposito di questo oggetto indimenticabile di cui andiamo perennemente alla ricerca ma di cui non abbiamo alcuna idea.

Ora, per spiegare questo, Lacan fa degli esempi di cui parleremo, e per il momento mi limito a darvi delle suggestioni di lettura perché torneremo su queste lezioni e magari affronteremo alcuni punti in modo specifico, perché Lacan va e viene in queste spiegazioni, per cui si ripete partendo dalla rilettura dell’Entwurf e dedicando due lezioni allo stesso argomento che in questo libro corrispondono a due capitoli: Das Ding I, Das Ding II.

C’è in queste due lezioni un andare e ritornare, un continuo lavoro di elaborazione e rielaborazione da parte di Lacan, finché non aggancia, per esemplificare la ricerca in impasse relativa al das Ding, un tema clinico sul quale si dilunga e su cui ritorna più di una volta: il tema della cosiddetta scelta della nevrosi, da cui si evince che c’è sempre un troppo o un troppo poco che la determina, rispetto al das Ding originario.

Lacan confronta la nevrosi isterica con quella ossessiva ma anche con la paranoia. Lui dice che  per quanto concerne l’isterica, la prima esperienza è stata una esperienza di rifiuto, di non soddisfacimento, cioè un’esperienza sgradevole, in cui l’altro è stato avvertito come estraneo e sgradevole. Mentre per l’ossessivo la prima esperienza è stata un’esperienza in cui ha goduto troppo, quindi al troppo poco dell’isterica corrisponde il troppo dell’ossessivo.

Tutte e due le esperienze sono eventi che hanno prodotto la nevrosi, nell’isterica come sapete con una condotta che sembra rifiutare la sessualità, nell’ossessivo con qualcosa che non si manifesta come rifiuto della sessualità, ma con un sistema di manovre e di rituali che lo dispongono sul tracciato di una ricerca continua e allo stesso tempo di rinvio, rispetto a qualche cosa che sembra voluta ma che di fatto è continuamente rinviata, in un aggiornamento indefinito.

Nell’ossessivo quindi questo troppo di godimento produce questo tipo di sintomo mentre l’esperienza sgradevole dell’isterica produce al contrario un rifiuto.

Vediamo se riesco a ricordarmi il caso freudiano: si tratta di una bambina che si rifiuta di entrare nei negozi perché ha paura che facciano commenti sgradevoli sui suoi vestiti.

Freud ha sgamato la cosa, definendola subito proton pseudos, prima menzogna dell’inconscio, relativa all’esperienza originaria, perché una volta la bambina all’età di quattro anni è entrata in un negozio e lì ha trovato un vecchio barbone che l’ha pizzicata sotto la gonna. Questa per lei è stata un esperienza sgradevole poi rimossa, che viene rielaborata quando, cinque o sei anni dopo, ha vissuto un’altra esperienza che poteva richiamare la prima, ma questa volta nel negozio c’era un soggetto che gli sembrava interessante. Quest’ultima esperienza è stata rovesciata sotto l’influenza di quella più antica rimossa e allora il suo trasporto verso questa persona, il commesso, che dall’interno del negozio l’attrae, viene rovesciato e stravolto nei commenti negativi che possono essere fatti dal commesso sui suoi vestiti, per cui si rifiuta di entrare. Ciò che lei percepisce come rifiuto del commesso nei suoi confronti, è il modo che ha lei per considerare il suo turbamento erotico. Questa è la modalità isterica.

Per l’ossessivo al contrario, si tratta di mettere in atto un continuo rinvio all’appuntamento, che viene continuamente allontanato per cui anche lui alla fine si trova in una situazione di impasse rispetto ai suoi interessi sessuali.

Non mi metto subito a parlare del caso clinico dell’Uomo dei ratti, che illustra in maniera egregia il comportamento dell’ossessivo, perché so che mi prenderebbe la mano.

Restiamo per il momento al comportamento dell’isterica, il cui sintomo è sempre direzionato verso questo Altro preistorico, il sintomo isterico è sempre direzionato verso questo Altro indimenticabile, quella realtà muta nella quale dobbiamo scorgere la presenza di das Ding che diviene il primo centro di orientamento per il nevrotico.

Si tratta di un qualche cosa che è messo fuori all’esterno dell’apparato psichico, che resta dunque fuori significato, ed è pertanto anteriore a qualsiasi tipo di rimozione, la quale si produce invece soltanto a partire dai processi di pensiero, le catene significanti che si mettono a orbitare attorno a das Ding, che possiamo considerare come il centro generatore, la causa di questi processi.

Das Ding, per il quale non possiamo parlare di rimozione, è qualcosa che viene messo fuori originariamente come un fuori significato, mentre la rimozione concerne sempre qualcosa che è dell’ordine del significante.

La cosiddetta scelta della nevrosi Neurosenwahl avviene, secondo la modalità isterica e secondo la modalità dell’ossessivo, in rapporto a questo das Ding originario; ma non abbiamo parlato della paranoia.

Qui Lacan ci parla della paranoia come qualche cosa che è dell’ordine del non crederci, della non credenza. Il paranoico si pone rispetto a questo tipo di rapporto con questo fuori significato, con questo primo estraneo, che possiamo chiamare il primo Altro assoluto del soggetto, egli si mette nella posizione di non credenza, non ci crede proprio il paranoico.

Tornando all’esempio del grido, Lacan chiarisce che se è vero che Freud cita il grido per significarci l’estraneo, l’ostile, questo primissimo fuori, precisa anche che noi non ne abbiamo bisogno, abbiamo altro.

Abbiamo i mezzi del linguaggio per poter esprimere questo fuori significato e ricorre a delle esperienze che ognuno di noi fa quando, per esempio, improvvisamente e in modo inatteso si trova confrontato con la presenza di una persona che è tra le più importanti per la sua esistenza, sia nei rapporti sociali che di vita.

Quando questo essere, il soggetto se lo trova presente all’improvviso in un momento inopportuno, l’unico modo di reagire alla sorpresa imbarazzante è quella di pronunciare: “Tu?” come a dire  “Che ci fai tu qui? La tua presenza è completamente fuori luogo”. In questo ”Tu?”, noi possiamo riconoscere una manifestazione di questo Das Ding, questo fuori significato perché fuori luogo.

Si tratta di una esperienza che è alla portata di tutti, quando qualcuno di noi si trova confrontato “in un momento di smarrimento, di sconforto, di sorpresa in presenza di qualcosa che non mi affretterò a chiamare la morte ma che certamente è per noi un altro privilegiato, attorno al quale ruotano le nostre preoccupazioni essenziali”. Il soggetto si trova allora confrontato con la presenza di qualcuno che in quel momento lì è l’ultima persona che avrebbe voluto incontrare o vedere. “Tu?” Non è un rifiuto nei confronti di questa persona, ma di una parte di sé che è estraneo a se stesso: “Tu che ci fai qui”?

C’è ancora un altro modo di proporre questo punto interrogativo che pone Das Ding, ed è il caso dell’uso di un altro pronome: “Io?”. Questo avviene quando siamo messi in causa noi, rispetto a qualche cosa e ci rendiamo conto come, in modo veramente pertinente e, come un netto rifiuto, diciamo “Io?”, che è un “Io!” di rifiuto, di rigetto della messa in causa di se stessi. Lì, noi possiamo riconoscere la difesa nei confronti di questo primo Altro assoluto del soggetto che è messo fuori.

L’esperienza del Nebenmensch di cui parla Lacan, è quella in cui dal Real-Hic si stacca questo Altro primordiale che è messo fuori, che diviene il centro di attrazione, attorno a cui, nell’inconscio, si va alla ricerca in modo perenne, con tutta una serie di rappresentazioni che, legando per flocculazione con elementi significanti, girano e orbitano senza mai raggiungere quella meta.

L’apparato psichico si costituisce propriamente grazie a queste orbite, che mantengono l’investimento all’interno di questa calotta, dove tutto il sistema è regolato in modo tale che, invece di uscire verso il motorio, facilita i percorsi già esistenti e ne crea di nuovi. Freud parla di Bannungen, cioè apertura di tracciati per anastomosi, per disperdere l’energia in tutti questi percorsi all’interno di un sistema omeostatico, governato dal principio di piacere, che in questo modo si costituisce come Lust-Hic.

Gli investimenti sono incanalati per mille rivoli prima di orientare la scarica su un’azione specifica, come fa l’isterica con il suo sintomo. È per esempio un’azione specifica quella di non voler entrare nel negozio per paura di essere derisa, e cioè lei può provare, nei confronti del commesso che le è piaciuto, attrazione e turbamento a condizione di  sentirsi derisa per il suo vestito, questa è l’azione specifica. Quindi la via d’azione specifica che trova l’isterica per non turbare il suo sistema omeostatico è il rifiuto di entrare, mentre l’azione specifica che trova un ossessivo è quella di rinviare continuamente, aggiornare all’infinito il suo soddisfacimento. Nell’Uomo dei ratti Freud ci dà mille spiegazioni di questo soddisfacimento rinviato.

Bene! A questo punto devo dilungarmi un poco su questo caso per illustrare il rinvio. Ernst, per esempio, si crea l’ipotesi di un matrimonio con la donna che gli è proibita dal padre, ma è un divieto che si è creato lui mentre il padre gli ha soltanto detto: “non andare lassù così spesso che ti renderai ridicolo”. Allora questa donna diventa per lui l’oggetto di un amore assoluto e idealizzato, una donna per la quale progetta un matrimonio, già per se stesso ostacolato dal rifiuto dell’interessata, Gisela, ma anche da lui stesso rinviato all’infinito, essendo tale matrimonio legato al conseguimento della laurea in legge, soltanto che lui gli esami non li dà, di modo che con la laurea anche il matrimonio è rinviato continuamente a un tempo indeterminato. Ecco vi ho portato l’esempio dell’ossessivo, un rinvio senza termine.

Per inciso quello che non viene detto da Freud, di questo cura che ha avuto una durata di solo undici mesi, una durata irrisoria che ha permesso a Freud di scrivere una capolavoro, uno dei capolavori della letteratura psicanalitica noto in Italia come L’uomo dei topi, Freud, dicevo, non racconta che Ernst dopo aver lasciato la cura passa all’atto, cioè passa dalle parole a un azione morbosa, cioè egli finalmente sposa questa Gisela, che non è propriamente sulla linea del suo desiderio, quella linea che può volgere la pulsione di morte a una sublimazione creazionista.

Subito dopo l’interruzione dell’analisi, sposa Gisela, va in guerra e incontra la morte: il passaggio all’atto per lui è l’incontro con il reale e la morte.

Probabilmente non stava lì, nella direzione del matrimonio con Gisela, il vero  desiderio dell’uomo dei ratti, ma era solo una deviazione che si era creato per coprire il suo con das Ding in un rinvio continuo.

La scommessa dell’analisi consiste in un lavoro che viene fatto quasi all’infinito per evitare un passaggio all’atto che sia contrario al desiderio, perché il desiderio è qualche cosa di paradossale e contraddittorio ed ha una faccia sconosciuta, quella che può volgere i nostri atti all’invenzione e alla creazione, che è il vero senso della pulsione di morte.

Il desiderio è qualcosa che può essere messo in atto nella cura psicanalitica grazie al desiderio dell’analista di cui abbiamo parlato oggi nell’esposizione del caso clinico.

Il desiderio dell’analista sta nella scommessa di un rapporto fondato sullo scavo preliminare di un posto vuoto dal lato dell’analista, una sottrazione del proprio essere, avvertita dal lato dell’analizzante come niente risposta alla sua domanda, uno sconforto che può dischiudere al discorso dell’analizzante la via verso quel suo campo centrale, dove il temuto e bramato das Ding può rivelarsi come quella zona cava dell’ex nihilo, che lo piò mettere nelle condizioni privilegiate della parola che crea.

Poiché il desiderio è inconscio per definizione, anche quello dell’analista lo è, allora tutto risiede nella scommessa che governa il dispositivo analitico, tutta da giocare aldilà del principio di piacere; solo così può operare il desiderio dell’analista, tale da permettere quell’esercizio a controsenso ma creativo della parola che in qualche modo ci evita gli esiti morbosi, perché l’esito morboso è sempre dietro l’angolo.

Nel caso dell’Uomo dei ratti, il suo desiderio chissà dov’era, era vagabondo, si possono fare diverse ipotesi, all’interno di questo caso clinico, molto interessanti dove per esempio ha un ruolo la madre di Ernst.

Tra le varie vicende di Ernest sulle quali sorvolo perché si intrecciano c’è un elemento importante che vi riferisco perché vi si configura il transfert verso Freud.

La madre di Ernst, utilizzando i suoi legami di parentela con una ricca e facoltosa famiglia, si stava adoperando per dare al figlio che studiava legge un avvenire, come quello che il padre aveva trovato sposando lei.

Che il padre si fosse fatta una posizione grazie alla moglie era una cosa nota, perché faceva parte della storia familiare, perciò quando la madre tirò fuori dalle sottane questo progetto di matrimonio con la giovane figlia del suo facoltoso cugino, che aveva acconsentito una volta che Ernst avesse conseguito la laurea, egli si sentì addosso lo stesso marchio che ai suoi occhi infamava il padre.

Negli anni dello studio che andava a rilento, la ragazzina, oggetto del futuro matrimonio combinato, era intanto divenuta una incantevole giovinetta, al cui fascino lo stesso Ernst non era insensibile; il quale, per sfuggire all’intrigo della madre, si era creato questo grosso marchingegno della  dama amata e idealizzata che era Gisela, forse una parente del padre tra l’altro. Vedete le cose come si intrecciano, perché è lecito chiedersi quale dei due progetti di matrimonio il ritardo nello studio intende ritardare. Ma dove stava il desiderio di Ernst veramente?

Possiamo forse scorgerne qualche traccia nel legame di questa vicenda con il transfert.

Un giorno Ernst incontra per le scale, recandosi nello studio di Freud, una bella ragazza e allora lui pensa che questa sia la figlia di Freud e che questo gliel’abbia fatta incontrare apposta per le scale per fargliela conoscere. Non c’è dubbio che la bella ragazza sia la copia della giovane incantevole che la madre gli proponeva per sistemarlo, quindi vedete c’è un elemento di transfert che è importante per orientarci verso il desiderio del paziente, che tuttavia resta enigmatico.

La dialettica del desiderio in una cura sovverte ogni logica, perché quando parliamo di desiderio parliamo di qualche cosa di inconscio, è inconscio per il paziente, è inconscio per l’analista, è inconscio per tutti. L’unica strada, l’unico desiderio che è vivibile nella cura è il desiderio dell’analista, ed è quello che io ho cercato di evidenziare nel caso clinico che ci ha esposto la signorina tirocinante, dove ne troviamo la traccia in quel piccolo particolare insensato tra le parole del paziente, perché il desiderio scivola, come un furetto, tra le parole, è inafferrabile.

 

Trascrizione di Valentina Bellini