Muriel Drazien

Muriel Drazien

 

Sabato 14 aprile 2018 si è spenta a Roma la psicanalista Muriel Drazien, direttrice dell’Istituto Laboratorio Freudiano dal 20 gennaio 2001 al 28 febbraio 2017.

Scuola per la formazione degli psicoterapeuti a indirizzo lacaniano, l’Istituto è una diretta emanazione dell’Associazione psicanalitica Cosa freudiana rifondata nel 1989 per iniziativa di Luigi Burzotta, Muriel Drazien e Johanna Vennemann. 

 

Muriel Drazien era giunta in Italia nel 1974 come membro della École freudienne di Parigi, seguendo le Direttive di Jacques Lacan per costituire con altri due membri italiani della stessa École, un tripode, su cui sostenere il dispositivo della passe per la formazione degli analisti in Italia.

Era un dispositivo concepito da Lacan per superare le inevitabili logiche di potere, interne alle Associazioni psicanalitiche, sulle modalità di riconoscimento della funzione di analista.

Piuttosto che a interinare l’acquisizione di un titolo sull’autorità e il prestigio di qualcuno, la passe mira a fondarla su ciò che potrebbe dire proprio chi si accinge a compiere il passo insensato di autorizzarsi come psicanalista, provando a ricercarne il motivo e le intime ragioni nella rievocazione storica dei momenti salienti della propria formazione. La procedura richiede che tale rielaborazione sia fatta alla presenza di qualcuno, che si assuma il carico e il rischio di renderne a sua volta testimonianza a un’istanza terza, come garante di ciò che di originale e autentico sia trascorso in quell’esperienza.

Per quanto Lacan riconoscesse che il dispositivo fosse in impasse, non ne mise mai in discussione la sua validità di principio. 

È in questo clima che Muriel Drazien ha introdotto la pratica della psicanalisi lacaniana a Roma, animata dal desiderio di trasmettere in Italia ciò che aveva appreso nel corso della sua personale formazione come analizzante e allieva di Jacques Lacan.

Come sua analizzante, Lei aveva acquisito la naturale consapevolezza che la psicanalisi si trasmette prima di tutto nella prassi della cura personale, laddove, come sua allieva, Lei era sicuramente orientata da quell’originale dottrina del significante avanzata dal Maestro, dove il soggetto deve reperire “il suo biglietto da visita” nell’arduo significante guida di un “essere per la morte”.

Un biglietto da visita singolare, il solo tuttavia che può attivare quel percorso da un significante all’altro per cui, un significante è ciò che rappresenta un soggetto per un altro significante, ma che, precisa Lacan, portando come indirizzo quello della morte, non giunge mai a destinazione, salvo a strappare lo stesso biglietto.

Questo tipo di formazione dava alla sua figura elegante e severa la grazia di una posizione femminile, accogliente e distaccata, nel quadro dello stile di una condotta sempre vigile che quel significante guida non incontrasse mai lo scacco e non degenerasse in un segno qualsiasi.

Mantenendosi discosta da quella degenerazione, che appiattisce il significante nel segno dell’ovvietà, Lei sdegnava la sua riduzione alla banalità del senso comune che fa dormire in piedi la gente in un’esistenza senza vergogna e senza onore, dove l’eventuale e improbabile morire di vergogna viene rifuggito e ricoperto dalla vile vergogna di vivere.

Onesta e altera Lei aveva preservato quel biglietto da visita, il significante “essere per la morte”, anche nei momenti più severi della malattia, quando nel suo letto di passione, rispondeva ai messaggi che le giungevano, con il coraggio delle sue sollecite risposte che rinviavano alla certezza di un prossimo incontro a venire. 

Continuava così, in quel luogo di sofferenza, a mantenere alta la dialettica dei significanti, sorretta proprio dal suo significante guida, che fino all’ultimo, pur martoriata dalla deformazione del suo corpo ammalato, non degenerò mai nel segno, della vergogna di vivere in quello stato, ma tenacemente rilanciava in avanti quel significante che la rappresentava come soggetto per un altro significante, finché, sorretta dal suo innato pudore, in extremis non le rimase che la chance del morire di vergogna, quella di dovere suo malgrado arrestare quella dialettica del rinvio all’infinito dell’atto soggettivo in cui un significante la rappresentasse degnamente come soggetto, lacerando infine il suo biglietto da visita.

Da psicanalista, puntuale all’appuntamento con l’interpretazione analitica, non credo ci fosse una lama affinata come la sua nell’esecuzione del taglio significante, vale a dire di quell’atto analitico principe nella conduzione della cura che miri al sorgere del soggetto.

Nell’atto analitico Muriel Drazien era ineguagliabile.

 

L B