Perversione e sublimazione

Perversione e sublimazione

Luigi Burzotta

 

Nel seminario Le formazioni dell’inconscio Jacques Lacan analizza la perversione in rapporto all’Ideale dell’io come istanza marcata in primo luogo dal significante, prendendo in esame consecutivamente la struttura soggettiva di André Gide e la commedia Il balcone di Jean Genet.

Invertendo l’ordine di presentazione entriamo direttamente nell’opera teatrale del Balcone dove sono in scena le funzioni umane in quanto si rapportano al simbolico.

Si tratta di quelle funzioni che nella società esercitano un potere – «quello conferito da Cristo ai successori di san Pietro e a tutti gli episcopati di legare e di sciogliere l’ordine del peccato e della colpa, il potere di colui che condanna e che castiga, cioè il giudice, il potere di colui che assume il comando in quel gran fenomeno che è la guerra, il Generale.

Lacan premette  che ordinariamente  nella società, «tutti questi personaggi rappresentano delle funzioni rispetto alle quali il soggetto si trova come alienato» – trattandosi di quelle «funzioni della parola», di cui il soggetto «si trova come supporto, ma che superano di molto la sua particolarità» di individuo.

Sono proprio questi personaggi che nel Balcone sono sottomessi alla legge della commedia, dove l’autore prova a rappresentarci che cosa vuol dire godere dello stato di vescovo, di giudice o di generale, con l’artificio di una casa di illusioni, dove vengono prodotte queste differenti forme dell’Ideale dell’io.

Forme che nella società non sono, come si crede, l’effetto di una sublimazione, nel senso in cui si tratterebbe di una neutralizzazione progressiva al loro interno di funzioni radicate. «Al contrario – afferma Lacan – si tratta di formazioni più o meno accompagnate da una erotizzazione del rapporto simbolico».

«Questo spiega perché può essere fatta l’assimilazione tra colui che, nella posizione  e nella funzione di vescovo, di giudice e di generale gode del suo stato e quel personaggio ben conosciuto dai gestori di case di illusioni», dove il vecchietto viene a soddisfarsi con l’ausilio e la disponibilità della comare di turno che gli fa credere di partecipare a un godimento colpevole nella misura in cui la caricatura del personaggio rappresentato viene accentuata e significativamente esaltata.

È così che in questa poetica creazione letteraria di Genet «vediamo il soggetto, sicuramente perverso, compiacersi nel cercare la sua soddisfazione in questa immagine, proprio perché è il riflesso di una funzione essenzialmente significante».

È allo stesso posto surrettizio dell’Ideale dell’io che si produce la perversione del giovane André Gide «che può costituirsi soltanto se è colui che si fa valere nel posto occupato dalla sua cugina […] che si costituisce come personalità in lei, per lei, e in rapporto a lei. È ciò che lo mette in rapporto a lei in una dipendenza mortale».

Sul giovane Gide tornerò tra poco, quando tratterò della sublimazione. Sul piano della perversione restiamo per il momento alle scene del Balcone, dove Genet ci evoca la confusione che si stabilisce nei rapporti, tuttavia fondamentali, dell’uomo con la parola, confusione che, en passant, dà il destro a Lacan di definire ogni stato di grande disordine nella contemporaneità come «il bordello nel quale viviamo».

A questo punto liminare della sua analisi del Balcone, Lacan trae questa prima conclusione: «La società in effetti non potrebbe definirsi altrimenti che come uno stato più o meno avanzato di degradazione della cultura».

Questa definizione della società anticipa ciò che egli avrebbe sviluppato nell’ultima lezione del Seminario Il desiderio e la sua interpretazione, del 1° luglio 1959, dove definendo la cultura, «una certa storia del soggetto in rapporto al logos», ci spiega che, dal momento del suo passaggio nella società, a causa di una certa inerzia sociale, il rapporto con il logos resta offuscato e che «è per questa ragione che il freudismo esiste nella nostra epoca».

Lacan distingue questo momento creativo di questa istanza «del soggetto in rapporto al logos» da «ciò che si presenta nella società come cultura» e definisce il rapporto tra i due «come un rapporto di entropia, in quanto ciò che passa della cultura nella società include sempre qualche funzione di disgregazione».

L’affinità di ciò che Lacan avanza nell’analisi del Balcone con ciò che propone nel Seminario dell’anno seguente, si fonda su una dialettica tra cultura e società, «che lascia aperta la stessa beanza di quella intorno alla quale noi troviamo la funzione del desiderio».

Io ritengo che sia da ricercare in questa beanza la ragione di ciò ch’egli argomenta a proposito della perversione in rapporto all’identificazione: «Ciò che si produce come perversione riflette, al livello del soggetto logico, la protesta contro ciò che il soggetto subisce al livello dell’identificazione, in quanto questa è il rapporto che instaura  e ordina le norme della stabilizzazione sociale delle differenti funzioni».

Nel Balcone, tramite una serie di degradazioni, Jean Genet ci presenta queste funzioni, nelle loro forme più sacre, (il giudice, il generale, lo stesso vescovo), messe qui all’interno del bordello, in funzione di specialisti di perversione, mentre all’esterno infuria tutt’intorno la rivoluzione – tutto ciò che ritualmente si svolge all’interno è accompagnato dal controcanto del crepitio delle mitragliatrici che proviene dall’esterno. La città è in preda alla rivoluzione.

All’acme della crisi, «un diplomatico di razza», l’Inviato del palazzo reale, viene a informare l’amabile gruppo, che si trova al centro della casa d’illusioni, su ciò che accade nel palazzo reale. Lì nel suo stato di legittimità più compiuta troviamo la Regina totalmente alienata nelle sue attività più futili: «lei ricama, e non ricama un fazzoletto […] ecc. ».

La rivoluzione ha il suo corso ineluttabile e la Regina, ormai nella sua cassa in legno di rosa, «ronfa e non ronfa», sicché, agli occhi del diplomatico, che è rapito dalla sua imponente siluette e dal suo carattere risoluto, non resta che l’altera e superba tenutaria del Balcone per affidargli il potere.

È così che il potere appare subito incarnato dalla tenutaria del bordello, Irma, che, passata allo stato di simbolo, assume, e con quale superiorità, le funzioni di Regina.

Si arriva così all’irreggimentazione dei perversi: quelli stessi che abbiamo visto esibirsi durante tutto il primo atto per incarnare quelle funzioni nei loro miseri amplessi diversamente amorosi, adesso sono chiamati ad assumere quelle stesse funzioni nel loro ruolo integrale e autentico.

Chiamati dall’Inviato a questo compito, di rappresentare i poteri che devono sostituirsi all’ordine crollato con la rivoluzione, i perversi esitano: come fare, in effetti, ad assumere una funzione al posto dell’Altro se proprio loro sono per se stessi collocati «dal lato per il quale l’Altro esiste»?

In quanto perversi, ciascuno di loro s’era votato, esibendosi nei panni dell’Altro, a svolgere il compito di suo «singolare ausiliario».

Il loro imbarazzo è più che comprensibile. Se essi hanno delle perplessità a seguire il progetto del diplomatico è perché, seppure non lo sanno, si erano già consacrati a «tappare il buco nell’Altro» e hanno dato prova di essere degli specialisti come «difensori della fede».

Dall’altro lato c’è il Prefetto di polizia, lui vero e reale, buon amico della tenutaria del bordello e suo potente protettore, che, consapevole che nulla cambierà dopo la rivoluzione, ha una sola preoccupazione: che finora nessuno abbia fatto richiesta di entrare nei suoi panni per fare l’amore, riconoscendo così la grandezza della sua funzione. Questo è diventato il suo cruccio e il problema di tutti, ora che lui è giunto a dimostrare che lui solo è l’ordine e il cardine di tutto, perché il fatto che ci fosse qualcuno che venisse a chiedere di essere il Prefetto di polizia, sarebbe l’evento che dovrebbe essere per lui la sanzione del suo accesso all’ordine delle funzioni rispettate, perché profanate.

Ancor più, se qualcuno venisse a chiedere adesso di essere il Prefetto di polizia, si potrebbe affidare al sopraggiunto questa funzione, ora che il vero Prefetto viene a elevarsi al rango di Eroe accanto a Irma, La Regina.

A questo scopo egli consulta quelli che lo circondano sull’opportunità di pensare a una specie di uniforme che sarebbe il simbolo della sua funzione e infine, scioccando un poco le orecchie dei suoi interlocutori, egli stesso propone il fallo.

Ma la questione dell’uniforme è superata dagli eventi, allorché il personaggio dell’Idraulico, per i suoi trascorsi di rivoluzionario ben conosciuto nella casa, finalmente viene a chiedere di entrare nei panni del Prefetto ed è Carmen la prostituta che l’aiuta a indossare ciò che occorre per entrare nel personaggio e a eseguire l’azione pertinente a quel ruolo.

Soltanto che conclusa l’esibizione, in un dialogo serrato con Carmen, che lo sollecita ad andarsene e gli impone finalmente di uscire dal salotto, il virtuoso Idraulico fa il gesto di castrarsi. Questo vuol dire, secondo Lacan, che questo uomo del popolo, che ha contribuito a dare al bordello il suo nuovo assetto, per aver sostenuto una delle prostitute ad affermarsi come l’eroina della rivoluzione, adesso per essere anche lui pienamente integrato nel nuovo ordine, bisogna che si castri, vale a dire che il fallo sia promosso  al nuovo stato di significante.

Forse che potremmo chiamare sublimazione questa reversione che condurrebbe dalla pratica perversa di una funzione alla sua trasmutazione in istituzione sociale? Questa è forse l’ipotesi caricaturale della commedia; ma è qualcosa di simile che Lacan articola nell’ultima lezione del Seminario Il desiderio e la sua interpretazione, dove avanza che, della perversione – intesa «sotto la sua forma più generale come ciò che, nell’essere umano, resiste a ogni normalizzazione – noi possiamo veder prodursi quel discorso, quella apparente elaborazione a vuoto che noi chiamiamo sublimazione, e che, nella sua natura come nei suoi prodotti, è distinta dalla valorizzazione sociale che gli si darà ulteriormente».

Questo viraggio dalla perversione alla sublimazione è figurato da Lacan con un quadrante, dove « si instaura qualcosa come un circuito girevole tra, da una parte il conformismo, [vale a dire] – tutto ciò che nella cultura si modifica e si aliena nella società – e, dall’altra, la perversione, in quanto essa rappresenta al livello del soggetto logico, con una serie di sfumature, la protesta che, in contrasto al conformismo, si eleva alla dimensione del desiderio, in quanto il desiderio è il rapporto del soggetto con il suo essere. È qui che s’inscrive questa famosa sublimazione».

Se è vero che si sublima con la pulsione, questo passaggio, dalla perversione alla sublimazione, è legittimato dalla natura stessa della pulsione in quanto «ridotta a puro gioco di significanti» : di questa riduzione a un puro «montaggio grammaticale», dal quale si genera il soggetto in quanto perverso, J. Lacan avrebbe dato un largo spazio nel Seminario XI (1964). Per il momento egli articola che la sublimazione è ciò per cui possono equivalersi il desiderio con la lettera ed è così che essa «si colloca come tale al livello del soggetto logico, là dove s’instaura e si svolge ciò che è, propriamente parlando, lavoro creativo nell’ordine del logos».

Mi domando se pure per André Gide c’è questo viraggio dalla perversione alla sublimazione, perché se è vero che la sua perversione «non è tanto nel fatto ch’egli possa desiderare soltanto ragazzini, quel ragazzino ch’egli era stato per un istante tra le braccia di sua zia», come oggetto di seduzione da parte di una donna che finalmente ma in un modo brusco e inatteso si era voluttuosamente interessata a lui, accarezzandogli le spalle, il collo, il petto, seduzione alla quale egli si era sottratto; ma piuttosto ch’egli è perverso in quanto può costituirsi nell’Ideale dell’io «soltanto se è quello che si fa valere nel posto occupato dalla cugina Magdeleine», che lo diciamo per inciso è la figlia della stessa zia.

Occorre d’altro canto rimarcare, in rapporto a questa donna idealizzata, che per essere lui «quello i cui pensieri girano tutti verso di lei, quello che in ogni istante le dà ciò che non ha», egli può solo farlo nell’atto di dirsi perpetualmente, di sottomettersi a una corrispondenza che è il cuore e la radice della sua esistenza d’uomo di lettere, d’uomo che sta interamente nel significante.

Lacan ricorda certo ironicamente il grido disperato del poeta davanti alla sparizione di quella cassetta, dove egli custodiva la corrispondenza con Magdeleine, e che era divenuto il prezioso oggetto contenitore del suo esercizio della lettera, di ciò con il quale egli aveva tappato il buco dell’amore supremo senza sessualità: quel grido miserabile: «La mia cassetta, la mia cara cassetta»!

Non si può tuttavia meglio figurare quella anatomia del vacuolo, quell’interdetto al centro di sé che si trova all’esterno, di cui Lacan ci parla nel Seminario D’un Altro all’altro (12 marzo 1969) che con questa preziosa cassetta delle lettere, nel doppio senso della parola lettera, che risuona al suo interno come in un sonaglio, immagine della sublimazione al livello pulsionale che noi possiamo ritrovare in tutta l’opera letteraria di André Gide.

La casa delle illusioni, il grande Balcone, il bordello fantasmagorico, con tutto ciò che si agita fortemente all’interno può aver la funzione di sonaglio, qualcosa di rotondo che avvolge la sorgiva inesauribile di colori e di suoni, mentre la rivoluzione, che infuria all’esterno, appare, ha solo l’aria di essere, in rapporto alla ricchezza creativa dei salotti del bordello, solo una sterile finzione, rappresentata soltanto dal suono monotono d’una mitragliatrice.

L’anno successivo a quello del Seminario Il desiderio e la sua interpretazione, Jacques Lacan, riproponendo lo schema del rapporto della perversione con la cultura, in quanto questa si distingue dalla società, nel Seminario Il transfert (27 novembre 1960) ci precisa che: Se la società adduce, col suo effetto di censura, una forma di disgregazione che si chiama nevrosi, è in un senso contrario di elaborazione, di costruzione, di sublimazione diciamolo pure, che può concepirsi la perversione quando essa è prodotta dalla cultura.

Questa precisazione, confermando l’affinità tra perversione e sublimazione, porta a distinguere ancora una volta la perversione, per la capacità di elaborazione che sarebbe propria al soggetto perverso; una chance che gli deriverebbe esattamente dal suo rifiuto a costituirsi nell’Ideale dell’io.

Se la nevrosi non ha difficoltà a costituirsi nell’Ideale dell’io, «là dove s’inscrive l’illusione del narcisismo primario», dal canto suo, preso da questo logoro, «il soggetto in quanto nevrotico è precisamente votato allo scacco della sublimazione», J. Lacan, D’un Altro all’altro (26 marzo 1969).